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POZ PM1
Convegno internazionale di pozioniSAMANTHA JENSEN O'CONNORTra l’apparente incapacità di rimanere ferma anche per un solo secondo e la vibrante gioia che trasudava dalla sua voce, era chiaro che Medea dovesse aver assunto un eccesso di Pozione dell’Euforia – o almeno, questo era ciò che pensò la Caposcuola quando la donna reagì con un sobbalzo alla sua presenza. Certo, nel corso di quell’anno aveva abbandonato gran parte della sua durezza, ma nell’ultimo periodo il suo buonumore aveva cominciato ad essere quasi disorientante (e quel pomeriggio più che mai). Non che Sam avesse intenzione di lamentarsene, anzi, ma abituarsi a tanta disposizione d’animo dopo quattro lunghi anni di bistrattamenti da parte sua e dei suoi animali domestici, un minimo di disorientamento era più che legittimo.
Lo sconcerto per l’eccitazione della docente passò però in secondo piano quando la donna, dopo aver controllato l’orologio con impazienza, passò ad illustrarle il programma di quel pomeriggio, una gita al Cairo per partecipare al convegno internazionale sull’arte pozionistica.
«Lo conosco!» esclamò all’improvviso, quasi interrompendo la Grael. «Ce ne ha parlato il Preside Duvall qualche anno fa, nel periodo in cui stavamo studiando il Tempio di Sekhmet!»
Ricordava con chiarezza la curiosità che l’aveva pervasa quando vi aveva accennato e il desiderio di girare per le sale dell’esposizione, come aveva fatto a dimenticarsene? A quel punto, comunque, non aveva importanza, perché di lì a poco avrebbe finalmente saziato la sua sete di conoscenza. Così, con un pizzico di sgomento nello scoprire che non avrebbero utilizzato il calderone se non come Passaporta, si aggiustò la tracolla e si avvicinò al grosso paiolo dorato, sfiorandolo in attesa di avvertire l’ormai familiare strappo all’ombelico.
Arrivati a destinazione, il tipico disorientamento dovuto a quel tipo di viaggio le risultò persino più acuito del solito a causa del caldo soffocante. Ma quanti gradi c’erano, cinquanta?! Colta da un capogiro, ulteriormente stordita dai riflessi del sole sul calderone scintillante (come l’avrebbero nascosto? Possibile che nessun babbano egiziano passasse di lì a quell’ora del pomeriggio?), si appoggiò alla parete più vicina e provò a prendere dei respiri profondi per ripristinare la quantità d’ossigeno che le arrivava al cervello. Peccato che l’afa era troppo asfissiante, e ad ogni boccata d’aria che immetteva nei polmoni si sentiva andare a fuoco. Con impazienza si slacciò la cravatta e la imboscò nella borsa, per poi arrotolarsi le maniche lungo le braccia per lasciare scoperta quanta più pelle possibile. Lì per lì fu quasi sul punto di Trasfigurare ogni suo capo d’abbigliamento in qualcosa di più consono, invidiando e odiando l’insegnante per il suo vestito freschissimo e le taciute informazioni, salvo poi ripiegare sull’Evocazione – previa consenso di Medea – di un semplice parasole bianco ed un ventaglietto di stoffa. In passato aveva fatto ricorso ai cappelli, ma aveva scoperto a proprie spese che la calotta che le copriva il cranio vi intrappolava anche il calore da cui avrebbe dovuto proteggerla, e non era il caso di ricercare quell’effetto collaterale.
Una volta che si fu protetta e rinfrescata ed ebbe riportato le iridi chiare e provate dal sole sulla docente, si rese conto che del paiolo dorato non v’era più traccia, e che la stradina deserta in cui erano spuntate dava direttamente sul Nilo. In pochi istanti l’entusiasmo della Cercatrice si riaccese, quasi correndo fino all’argine per respirare la brezza generata dall’incredibile mole d’acqua trasportata dal fiume. Questa era molto più limpida di quanto non si fosse aspettata, e le mille gemme di luce che scorrevano sulla sua superficie, per quanto la riguardava, erano infinitamente più affascinanti di qualunque grattacielo potesse sorgere sulle sue sponde.
Alla fine, con insofferenza, si costrinse a seguire la Grael nei pressi dell’altissimo edificio, apprendendo che parte di esso era celata da una sorta di incantesimo di dissimulazione o una barriera respingente, riflettendo su ciò che questo potesse significare: lo spazio occupato dal museo era il medesimo che percorrevano anche i babbani, come due piani sovrapposti? Insomma, si trattava di un grattacielo, non di un magazzino abbandonato o un cumulo di ruderi, di sicuro c’erano uffici lì dentro, gente che lavorava…
Le sue riflessioni vennero interrotte dall’arrivo di un giovane dai pazzeschi occhi verdi, decisamente insoliti dato il suo incarnato, che rispose al saluto di Medea con un caloroso abbraccio. «Salve, Nashat» replicò Sam con voce più acuta del normale, inchinandosi con qualche secondo di ritardo, il volto più accaldato malgrado il parasole e il ventaglio stessero adempiendo al proprio compito. Era… arrossita? Da quanto tempo non le capitava di imbarazzarsi per una cosa del genere? L’ultima volta, ed era piuttosto certa di non sbagliare, era ancora al suo primo anno. Confusa dalla propria reazione, si affrettò a seguire l’insegnante e la loro guida all’interno delle porte a vetri: poco dopo si ritrovò in un’ampia sala in penombra, con le comuni caratteristiche di ogni museo bene in vista fra il pavimento di marmo, il banco informazioni nel mezzo della stanza, ed il silenzio degli invisibili studiosi.
Prima ancora di dedicarsi all’osservazione, però, lasciò che il sollievo per essere sfuggita alla calura dell’esterno la sciogliesse e, con un rapido gesto, Esiliò gli strumenti a cui aveva fatto ricorso. Dopodiché prese a focalizzarsi su quel nuovo ambiente, cercando di capire dove fossero contenute le pozioni e come si accedesse alle gallerie o ai piani superiori – perché dovevano essercene, o tutto lo spazio del palazzo sarebbe andato sprecato.
La voce di Nashat e i loro passi echeggiavano lievemente nel salone taciturno e, mentre procedevano, la Tassorosso si accostò al punto centrale per prelevare una mappa e dei dépliant che si mise a consultare con fermento, almeno finché non vennero raggiunti da un’altra persona – una ragazza, stavolta, di nome Nadia. Portava un velo ed era tanto giovane quanto trafelata, forse era stata trattenuta in qualche padiglione. I convenevoli fra lei e Medea furono meno affettuosi rispetto a quelli che la Professoressa si era scambiata con Nashat – magari erano meno in confidenza – e, finalmente, vennero condotte alla prima esposizione, contenuta della sala Egiziana.
Dopo la penombra dell’atrio, ritrovarsi sul sentiero del Mago di Oz circondata da sabbia le fece quasi dolere le cornee per l’improvviso cambio di luminosità, ma quando si fu acclimatata poté scorgere ogni sorta di reperto, appositamente protetto nella propria teca. C’erano lunghi ed antichissimi papiri, vecchie incisioni stilizzate in cui distinse forme umane e vegetali e, in un altro settore della sala, vasi e calderoni. Ascoltava le parole di Nadia con grande concentrazione, le pupille che scorrevano affascinate sui geroglifici dei rotoli cercando di intuirne il significato senza servirsi della traduzione a lato. Alcune nozioni già le conosceva grazie ai corsi di Magia Internazionale e Pozioni, ma altre le erano del tutto nuove, e trattenersi dal riempire la guida di domande nel bel mezzo della spiegazione fu particolarmente complesso. La descrizione dei riti religiosi legati alla preparazione degli infusi medici fu particolarmente suggestiva, soprattutto grazie alla dimostrazione pratica che un impiegato del museo stava facendo in una piccola piramide in fondo al percorso. Tanto i suoi gesti quanto le sue parole erano concentrati ed assorti, ma Sam non capì nulla se non i nomi di qualche divinità dell’Antico Egitto. La preghiera suonava fervente e misteriosa, e preferì attendere la fine dello spettacolo per importunare Nadia. Nel tornare a voltarsi verso la giovane, però, il suo sguardo incrociò la figura di Nashat, e stavolta le sue gote non furono l’unica parte del suo corpo a reagire: quando si accorse a chi erano rivolte le sue occhiate, infatti, al bollore del viso si aggiunse una spiacevole stretta allo stomaco, che si sforzò di ignorare mentre rimetteva in ordine gli appunti mentali che si era presa.
«Sì, avrei qualche domanda in effetti… » cominciò con un pizzico di inconsueta titubanza. «Ha detto che la chirurgia era particolarmente evoluta, ma non ha accennato direttamente alle pozioni, perciò mi chiedevo se venissero effettivamente usate nel corso delle operazioni. Ad esempio miscele come le pozioni cicatrizzanti o anestetizzanti! A questo proposito, sa anche se venivano usate durante i processi di imbalsamazione, magari all’insaputa dei babbani che se ne occupavano?»
Lasciò a Nadia il tempo per colmare le sue curiosità, poi tornò alla carica. «Visto che il ferro assorbe molto il calore, le pozioni preparate nei calderoni di ferro venivano bene? Voglio dire, ovviamente erano efficaci dato che sono stati proprio gli egizi a brevettare l’Ossofast ma, visto che adesso non vengono più usati, hanno dovuto ricalcolare il tempo di ebollizione delle ricette in base alle proprietà dei calderoni in peltro o argento?». E poi c’era un’ultima questione. «Che tipo di minerali veniva usato? E perché ora non se ne usano più?» O almeno, in quel momento non le veniva in mente neppure un infuso che ne avesse uno come ingrediente.
Spostandosi nella sala successiva vennero accolte da una grossa statua di Shiva e dal profumo di incenso, elementi che fecero subito intuire a Sam la provenienza degli artefatti lì contenuti. Anche il pavimento era mutato, rimodellandosi da deserto a nuda terra; la Tassorosso inspirò a fondo il profumo dei fiori sparsi, dei rampicanti e dell’humus, desiderando di potersi levare le scarpe per sentire la terra sotto i piedi mentre conversava con la docente e si metteva alla prova, cercando di indovinare il materiale di un calderone o il significato di una certa iconografia. Assurdo a dirsi, si sentiva totalmente a proprio agio, come se stesse visitando il museo in compagnia di un’amica di vecchia data; se si fosse azzardata a raccontare a qualcuno di quell’improbabile cameratismo con una delle professoresse con la peggiore reputazione della scuola, di certo avrebbero pensato che si fosse inventata tutto.
Quando ebbero esplorato per conto proprio parte della sala Indiana, Nashat prese il posto di Nadia come guida ed iniziò ad illustrare la storia dei cimeli esposti e della pozionistica nel subcontinente indiano. Parlava con passione, e Sam non capiva se fosse più attratta dai suoi racconti o da lui stesso. Menzionò anche aspetti che non aveva mai associato alla magia, tra cui la fisioterapia, e recepì assorda come in India il ruolo cerimoniale e religioso fosse più accentuato che in Egitto. Fu proprio quello il punto che pose al centro dei quesiti che rivolse a Nashat quando venne interpellata.
«Sì! In effetti mi chiedevo se fosse ancora possibile creare pozioni secondo le antiche modalità, e se sia necessario essere credenti per poter purificare la zona e invocare gli dèi. La presenza delle divinità o degli incensi è davvero essenziale per la preparazione - insomma, aumenta davvero la sua potenza - o è solo una credenza?». La seconda parte delle sue riflessioni era invece di carattere generale, ma più di tutto sperava che Nashat non la trovasse pedante o fastidiosa. «Come mai l’arte medi-magica in India ha avuto vita più breve rispetto a quella egiziana? E… ehm, la vendita dei filtri d’amore è rigidamente regolamentata anche lì?». Avvampò. «Non che ne voglia comprare uno, è solo curiosità: possono essere molto pericolosi e in Regno Unito vengono concessi solo con una speciale autorizzazione...»[...]
CITAZIONE« Le parti non possono essere prelevati da animali morti. Spesso viene utilizzato l'incantesimo di transito corporeo per prelevare le parti che possono essere...come dire...non vitali per l'animale. Ma per quelli che lo sono...Ecco, la creatura viene uccisa e la parte interessata prelevata e successivamente conservata »
Nadia e Nashat non le parvero infastiditi dagli infiniti quesiti che aveva posto, anzi; non solo le spiegarono ogni cosa con gentilezza, ma le risposte che ricevette le fornirono innumerevoli spunti di riflessione. Rimase un po’ turbata, affascinata e delusa dal fatto che quattromila anni prima i babbani fossero molto più inclini ad accettare il soprannaturale di adesso, senza porsi troppe domande. Magari era anche merito della religione e del culto di una figura come quella del faraone che univa il popolo indistintamente, o forse degli stessi sacerdoti, ritenuti in grado di compiere incantesimi in quanto emissari delle divinità. Certo, le loro capacità non erano legate realmente ad un potere ultraterreno, ma non è che al giorno d’oggi i maghi avessero compreso appieno da dove provenisse la magia e perché alcune persone vi fossero più predisposte di altre. Che fosse solo evoluzione? O al contrario la presenza di un qualche strano elemento nel DNA che un babbano, analizzando un campione di sangue, avrebbe potuto rilevare e riprodurre? Per un istante ponderò che quel marker genetico potesse avere origini aliene, ma il pensiero era troppo ampio e mozzafiato per pensarci in quel momento. La sola idea le faceva mancare la terra sotto i piedi.
E poi c’erano gli utilizzatori dell’Aura, a metà fra le due categorie. Babbani capaci di tanta intima onestà e consapevolezza da essere in grado di imbrigliare l’Alone e sfruttarlo quasi meglio dei maghi stessi, pur non possedendo il benché minimo briciolo di potere nelle loro vene. Ancora ricordava lo sconcerto che aveva provato quando Levon gliel’aveva raccontato.
La sua domanda sullo sviluppo dei processi pozionistici fu invece meno sagace, tanto che quando Nadia le illustrò il nesso fra il perfezionamento dei calderoni e della mescolanza degli ingredienti si sentì un po’ stupida. In effetti, era piuttosto ovvio. D’altro canto anche gli incantesimi venivano studiati a lungo e sottoposti a numerosi esperimenti prima di venire brevettati e insegnati. E lo stesso, in un certo senso, valeva per i percorsi alchemici: una volta raggiunto un certo livello di conoscenza interiore, ogni volta che si cresceva e maturava, era necessario rielaborare le nuove scoperte per ritrovare un equilibrio, o si sarebbe rimasti incastrati allo stesso punto di sempre.
Agli interventi di Nashat, nella sala indiana, stette particolarmente attenta, lievemente stordita dal profumo d’incenso. Alla menzione della scarsa praticità di performare riti propiziatori prima di mettersi all’opera con un paiolo, non poté fare a meno di immaginare Medea sollevare le braccia al cielo nell’aula dei sotterranei per invocare Ra, cosa che la indusse a ridacchiare sommessamente mentre la squadrava con la coda dell’occhio. Però di sicuro dovevano ancora esserci villaggi sperduti in cui quella tradizione era rimasta intatta, magari vecchie comunità druidiche o cose del genere.
Al suo ultimo intervento, Sam si ritrovò ad arrossire lievemente, dandosi della stupida per essere caduta in quell’errore idiota – davanti a Nashat, per di più. Malgrado avesse seguito con interesse il corso del Preside Duvall, ed avrebbe dunque dovuto aver già appreso da tempo che la magia veniva percepita ed usata in modi differenti, si sentiva ancora molto legata alla propria realtà, tanto che, in alcuni casi, faticava a prendere in considerazione il fatto che essa avesse subìto le più svariate evoluzioni a seconda della zona geografica. Anche per questo aveva deciso di recuperare il corso della Stevens, in modo da cercare di capire ancora meglio quali fossero stati i processi che avevano portato all’attuale realtà delle cose. Non che avesse davvero creduto che soli tre anni le avrebbero permesso di aprirle la mente, ma in quel frangente si rese effettivamente conto di quanto mantenere il cervello quanto più recettivo possibile richiedesse un esercizio costante. E poi avrebbe potuto arrivarci anche da sola, no? In Europa e in America si faceva uso dei catalizzatori, mentre in Africa no; e sì, in Oriente le leggi in vigore a proposito dei tappeti volanti erano diametralmente opposte a quelle del Regno Unito, però dubitava che i babbani locali fossero avvezzi a vedere gente svolazzare a mezz’aria su un tappeto… forse venivano incantati appositamente per fornire invisibilità sia al mezzo di trasporto che al mago che lo cavalcava.
«Grazie per la spiegazione, ammetto di non averci pensato» replicò al giovane, prima di avvampare come una fiamma quando Nashat le si piazzò accanto, chiudendola fra sé e Medea mentre la scortavano nella sala conferenze del museo. Era così distratta dalla presenza del ragazzo che a malapena si chiese che fine avesse fatto Nadia, figurarsi rendersi conto del percorso attraverso cui l’avevano condotta per raggiungere la tavola rotonda.
Per l’intero tragitto cercò di imporsi di rimanere calma e focalizzarsi su ciò che avrebbe sentito di lì a poco, sulla prospettiva di incontrare altri coetanei di ogni età e nazionalità, ma solo quando (dopo quella che le parve una brevissima eternità) giunsero a destinazione, riuscì nei suoi intenti. Lo spettacolo che le si parò davanti era incredibile: aveva l’impressione di trovarsi in un immenso teatro, dove file e file di poltrone erano occupate da intere scolaresche che sembravano essere apparse all’improvviso. Ma da dove erano spuntate? Erano sempre stati nel museo anche loro? E i relatori! La tavola sembrava non finire mai, tanti erano i Paesi che partecipavano al congresso! Con curiosità, cercò di allungare il collo per vedere le bandiere ed i nomi sui cartellini alla ricerca del rappresentante della Gran Bretagna e, quando lo individuò, rimase un po’ delusa. Non l’aveva mai visto prima, ma sicuramente avrebbe menzionato ogni pozione brevettata nell’ultimo anno, compresa quella a cui aveva lavorato sua madre.
Ovviamente era impossibile ospitare tutte e duecent’otto le nazioni, perciò si ritrovò a chiedere sottovoce, a nessuno dei suoi accompagnatori in particolare: «Partecipano tutti i Paesi del mondo alla conferenza, o solo quelli che hanno fatto le maggiori scoperte?». C’era persino la possibilità che alcuni avessero scelto un unico esponente per presentarne più di una.
Alla fine il moderatore si alzò e si puntò la bacchetta alla gola. A quella distanza Sam non udì il Sonorus (forse l’aveva pure castato mentalmente), ma subito dopo la voce del mago risuonò chiaramente nell’auditorium, inducendo poco a poco la folla a tacere. In quello stesso istante, sulle gambe di ciascuno apparvero blocco e penna per prendere appunti, e la Caposcuola, senza attendere due volte, segnò luogo e data in cima al primo foglio, pronta a scriversi qualunque cosa avesse stuzzicato il suo interesse.
La Tassorosso apprese così quanto bizzarri fossero i pozionisti, quelli che davvero trascorrevano gran parte della propria vita chiusi tra i fumi dei calderoni per fare ricerca. Comprese anche che quella professione non avrebbe mai potuto fare per lei, non se avesse dovuto osare e rischiare, anteponendo la propria vita a quella di una creatura pur di prelevarne delle parti da utilizzare negli infusi. Certo, nella classe della Grael maneggiava milze e bili, occhi e sangue, ma si trattava di ingredienti già selezionati, e non aveva mai osato chiedersi se provenissero da carcasse già morte o appositamente abbattute. Com’era possibile che, bevendo un qualsiasi infuso, non si soffermasse mai a pensare che, a conti fatti, stava sorseggiando ossa tritate insieme a qualche erba?
“Tosca, ti prego, fa’ che non vomiti la prossima volta che berrò un qualsiasi intruglio” si ritrovò a supplicare disperata. Per lei era così normale maneggiare quei materiali e fare uso delle pozioni che quando realizzò cosa questo comportasse quasi rigettò sul serio, il viso cereo che risaltava sotto le ciocche corvine.
Lei era vegetariana. Vegetariana, per l’amor del cielo, in cosa era diverso assumere infusi dagli ingredienti animali rispetto al mangiare una bistecca? Niente, si rese conto con un rivolo di orrore. Assolutamente in niente.
“Respira. Come ti ha insegnato Wallace. Respira”
Come aveva potuto essere così cieca e superficiale? No, basta, aveva deciso. Da quel momento in avanti si sarebbe documentata sulla provenienza degli ingredienti di ogni pozione e, se fossero stati prelevati da un animale appositamente ucciso, si sarebbe rifiutata di assumerla.
Al termine del dibattito, Medea si alzò e scese lungo la scalinata per andare a parlare con alcuni professori, lasciandola sola con il giovane.
«Nashat… » lo chiamò, una punta di serietà apparentemente insensata nella voce. «Per caso sai qualcosa sui ricercatori di ingredienti? So che ce ne sono di due categorie, erbologi esploratori per prendere quelli di origine vegetale e magizoologi specializzati per quelli di origine animale, giusto? Ecco, mi chiedevo se questi ultimi uccidano le creature o prelevino le parti che servono da animali già morti… ». Attese la risposta con timore: di sicuro giungere sul posto subito dopo un decesso poteva non garantire la freschezza dell’ingrediente, senza contare che le creature ammazzate da altre in combattimento potevano avere gli organi danneggiati e il sangue contaminato dal veleno di un altro animale… Non si illudeva in proposito, ma le sarebbe ugualmente piaciuto avere un quadro più completo della situazione per poter prendere una decisione definitiva a proposito della faccenda.
Sam uscì dalla sala conferenze con una nuova risoluzione nell’animo e, cercando di riscuotersi dai propri turbamenti per non guastarsi la gita, si concentrò sui vari corridoi, cercando di scorgere gli altri visitatori o di distinguere un accento dall’altro. Ad un certo punto si imbatterono in un ragazzo dalla chioma ricciuta che doveva avere più o meno la stessa età di Sam, forse uno o due anni in più, curiosamente solo. La Tassorosso si chiese se non avesse marinato la scuola per visitare il museo, ma dal dialogo che seguì con Medea comprese che la sua ipotesi non poteva essere più errata: si trattava di un alunno dell’accademia italiana di magia, selezionato casualmente per la prova che, a quanto pareva, avrebbe dovuto condurre con lui.
Si presentò con un sorriso come «Andrea, piacere», l’inglese sferzato da un accento italiano che non riuscì a identificare e, dopo un primo attimo di sconcerto in cui si chiese perché avesse un nome da ragazza, replicò con un cordiale «Io sono Samantha – Sam. Piacere mio», stringendogli la mano.
Istintivamente provò un senso di soggezione al pensiero di quante pozioni dovesse conoscere in più rispetto a lei, ma soffocò quel lieve disagio e seguì Medea e Nashat al piano di sopra. Lì varcando una porta, ed in quella si ritrovò a dover strizzare gli occhi per la luce improvvisa, in netto contrasto con la penombra del resto del museo. Si trovavano ai margini di una lussureggiante foresta di conifere assurdamente verticali. Più avanti percepì l’inconfondibile profumo dell’acqua di lago e, ancora più indietro, alle spalle del bosco, scorse delle punte aguzze e massicce, più simili a delle gole che non ad una vera catena montuosa.
«Le Dolomiti!» esclamò Andrea sorpreso, riconoscendo il panorama.
«Sono nel nord, vero?» domandò Sam, superando l’imbarazzo. Durante il suo terzo anno, il docente di Cura delle Creature Magiche li aveva portati in nord Italia, nei pressi di un lago lombardo, per studiare il Kelpie che viveva in quelle acque, e lo scenario non le sembrava così diverso.
«Sì, nel nord-est per la precisione» confermò lui annuendo. «Ho letto “sala italiana” fuori, ma credevo che dentro ci sarebbe stata un’esposizione come quella della sala egiziana – l’hai vista? – non certo questo! L’Italia non era mica conosciuta per il sole e il mare?» continuò, indicando il rudimentale calderone che giaceva in uno spiazzo insieme a qualche tronco e a varie pietre.
«Sì, ci siamo passati!» asserì a proposito dell’ala egiziana. «Ma ho visto la Sala Italiana, anche se di sfuggita. Si sentiva l’odore delle onde e tutta la stanza era come un susseguirsi di paesaggi, con le Alpi, le spiagge, le pianure e le colline con i vigneti… e poi c’erano delle ampolle con le acque termali, e un sacco di mappe sulle necropoli e le influenze del continente. Facci un salto, è molto interessante». Quasi ogni popolo era stato in Italia e vi aveva lasciato il segno, era pazzesco!
«Grazie, ne prendo nota» annuì lui, avanzando nel bosco. «Forse questa stanza è una sorta di laboratorio» congetturò, ed in quella Nashat intervenne a confermare la sua supposizione. Il loro compito sarebbe stato cercare di creare una pozione senza utilizzare la magia, procacciandosi autonomamente gli ingredienti. Andrea fischiò alle indicazioni, in un sardonico segno che metteva in chiaro il fatto che avesse compreso subito quanto difficile sarebbe stato.
Dopodiché, ricevuti gli auguri di buon lavoro, Nashat e Medea li lasciarono soli, forse diretti verso altre scolaresche.
«Allora, che pozione vogliamo fare?» le chiese Andrea in tono amichevole, mentre si avvicinava al ciocco di legno. Sam lo seguì, pensierosa.
«Beh, dato che non abbiamo a disposizione praticamente nulla, credo che ci convenga sceglierne una abbastanza semplice»
Lui ammiccò - «Giusto» - per poi lasciarsi andare ad un teatrale sospiro. «E io che sto al settimo anno a fare?»
La Caposcuola incrociò le braccia, sollevando un sopracciglio. «Perché, avevi intenzione di creare una pozione proibitiva? Non si studiano solo quelle all’ultimo anno?»
«Beh, sarebbe stato divertente, no?»
«A-ha» Sam arricciò le labbra. «E dove l'avresti trovato un grifone, o un Erumpent?»
«Dettagli» minimizzò lui, battendo poi le mani. «Allora che pozione semplice sia! Mmmh… che ne dici della Pozione Dilatante?»
«Ehm… » la Tassorosso tentennò «lo apri tu il pipistrello per prendergli la milza?»
«Cavolo, no!» replicò lui, scherzosamente schifato. «Io spremerò i bulbi dei pesci-palla»
«Non erano pesci d’acqua salata?»
«Non tutti»
«Scusa, non mi pare di avere il fiume Congo, qui»
«Ok, ok, niente Pozione Dilatante»
Sam girò attorno al calderone appena sbozzato nella roccia. Era spesso, il fuoco avrebbe dovuto essere piuttosto caldo per penetrare la crosta, ma non tanto da fonderla prima che pozione fosse conclusa. Accidenti, era più complesso di quanto avesse preventivato! «Che ne dici del Filtro Doxycida? Ci sono sicuramente delle tarantole da queste parti»
«Ah, sì. Ammesso e non concesso che riuscissimo a trovarne una in questa foresta, io non mi assumo la responsabilità di prenderle il veleno manco se sapessi come fare»
«Dettagli» gli fece il verso lei. «Ok, ok, concentriamoci. Cosa potremmo fare senza dover cacciare o scuoiare o rischiare la vita?»
«Il Distillato Sviante?»
Ah, già. «Non sarebbe una cattiva idea-»
«Se non fosse che sono solo tre erbette messe in croce, non ho intenzione di presentare alla mia Prof di pozioni una cosa del genere, fra meno di un mese ho i MAGO!»
Sam sbuffò, le iridi che danzavano sul terreno per cercare di riconoscere le varie piante. «Beh, a meno che non ci venga un’altra idea, questo è tutto ciò a cui sono riuscita a pensare»
«No, aspetta. Il Distillato Soporifero!»
«Ma c’è il muco di Vermicoli»
«E quindi?»
«Sono animali»
«Sì… » annuì Andrea, confuso. «E quindi?»
«Io sono vegetariana»
«Dài, non puoi dire sul serio!»
«Sì»
«E come fai con le pozioni?»
«Ci sto ancora lavorando» ammise Sam con fare sostenuto.
«Beh, buona fortuna!» disse lui. «Ma continuo a non capire perché sia un problema, dobbiamo prendere il muco, mica spremerli»
«Vero. E per l’ingrediente base?»
«Mai capito cosa sia»
«Ma se ti diplomi tra un mese!»
«Fammi causa! Tu lo sai?»
Sam arrossì.
«Ecco, ecco! È una sorta di segreto tra farmacisti, come la fabbricazione delle bacchette, te lo dico io!»
La Cercatrice, suo malgrado, scoppiò a ridere.
«E va bene, senti: e se prendessimo qualcos’altro, qualcosa che rilassi e induca alla sonnolenza?»
«Intendi tipo la camomilla?»
«Esatto!»
«Ok, aggiudicato. Ma se riusciamo davvero a trovare della camomilla nei boschi del Trentino, giuro che scriverò una mail di protesta al direttore del museo»
Sam rise di nuovo.
«Su, mettiamoci al lavoro. Non ci hanno dato limiti di tempo, ma dubito che potremo stare qui troppo a lung-oh, no!»
«Cosa, cosa? Ho un insetto addosso?»
«Ma no, è che il Distillato Soporifero deve fermentare per più di un’ora!»
«Massì, chiameremo i prof dopo aver completato i primi passaggi, sarà già un miracolo se riusciremo ad arrivare a quel punto!»
«Te l’hanno mai detto che sei incredibilmente approssimativo?»
«E a te che ti preoccupi troppo?»
«Di continuo»
Andrea fece per dire qualcosa, ma poi si interruppe. «Allora, capo, come ci dividiamo i compiti?»
«Chi l’ha detto che sono io il capo?»
«Sei tu quella organizzata, io eseguo»
«Ricordami perché hai deciso di prendere i MAGO in pozioni»
«Perché me ne servono almeno quattro per accedere all’università, e di studiare Erbologia non se ne parlava»
«Cos’ha Erbologia che non va?»
Andrea rise fragorosamente, ed uno stormo di uccelli si librò in volo infastidito, allontanandosi dal chiasso.
«Ovviamente studi pure Erbologia»
«Certo» ribatté Sam con fierezza. «Qual era l’altra opzione?»
«Difesa Contro le Arti Oscure, ma i GUFO mi sono bastati»
Sam annuì. «Ti capisco, è una materia abbastanza traumatica. Ma quindi? Qual è la tua vera vocazione?»
«Oggetti Magici. Sono un vero asso con le mani»
«Aaah, questo sì che ci può essere utile! Pensi di riuscire ad accendere il fuoco e a limare qualche roccia? Abbiamo bisogno di pestello e mortaio»
«Facile come bere un bicchier d’acqua»
«Intendi easy as pie?»
«Quello. Anche se converrai con me che preparare una torta è ben più complicato che bersi un bicchiere d’acqua»
Sam lo guardò storto.
«Ok, mi metto al lavoro» rise di nuovo lui. «E tu? Come troverai gli ingredienti?»
«Sono un’Animagus»
«Seria? Che figata! Anche io ci avevo pensato, ma avevo troppo da fare e ho preferito rimandare. In cosa ti trasformi?»
«Un fringuello»
«Che carino!»
«Sì, lo è, in effetti. Non sono ancora riuscita a trasformarmi del tutto, ma ho pochi dubbi a riguardo. Credevo che avrei assunto la forma di una cinciallegra, invece no»
«Però… »
«?»
«Beh, l’Animagia è comunque magia, no? E noi non possiamo usare la magia per questa prova. E poi hai detto che stai ancora imparando, non sarebbe rischioso?»
«Ah, cavolo, hai ragione!» realizzò lei con un velo di sconforto. Se Wallace avesse scoperto che aveva provato a trasformarsi senza di lui, l’avrebbe sbattuta fuori dal suo ufficio senza pensarci due volte. «Pazienza, vorrà dire che camminerò». Un sospiro. «Vado, prima di perdere altro tempo»
«A dopo!» salutò lui, dandole le spalle e cominciando a raccattare legnetti e altro materiale utile per produrre gli strumenti.
Dal canto suo, Sam si avviò nel bosco, abbassandosi le maniche della camicia per proteggersi dalla brezza, le pupille che sondavano attentamente ogni erba, foglia e fiore per identificarle. La valeriana fu la più semplice da trovare, ad appena cinque minuti di cammino lungo il bosco annidato ad ovest del lago. Ne prese in abbondanza, assicurandosi di recidere il meno possibile le radici e riponendola nella borsa a tracolla, poi proseguì.
Per quanto complicato, quella prova le serviva anche come esercizio per riconoscere i tipi di terreno, selezionando quelli che avrebbero potuto accogliere determinate piante con maggiore probabilità.
Impiegò più di mezz’ora a trovare tutto, specialmente la camomilla, disposta in ciuffi su una collinetta esposta al sole oltre un gruppo di alberi particolarmente intricato e, per il ritorno, decise di passare dalla spiaggia sassosa e percorrere il lungolago. Purtroppo non aveva trovato neanche un Vermicolo, ma se avesse tardato ancora Andrea avrebbe potuto preoccuparsi, e voleva evitare che, per cercarla, si allontanasse nella foresta.
«Eccomi!» si annunciò spuntando dalla spiaggetta. Era stato quasi strano, per una abituata al mare impervio della Cornovaglia come lei, osservare una superficie così placida, ma trovò che c’era qualcosa di estremamente quieto nei laghi, qualcosa che la calmò – ma potevano benissimo essere gli effluvi della lavanda.
«Ehi, alla buon’ora! Stavo quasi per darti per dispersa!»
«Nah, mi so orientare in un bosco»
«Anche in verticale?»
«In che senso?» lo guardò lei, confusa. Lui indicò le sue ginocchia, visibili oltre l’orlo della gonna. «Ah, no, queste me le sono fatte da piccola, stavo più all’aperto che in casa»
«E non hai mai imparato ad accendere un fuoco?»
«Per i maghi non è così ovvio» spiegò lei depositando gli ingredienti sul tronco, osservando poi gli strumenti che Andrea aveva realizzato. «Sappiamo di poter contare sempre sulla magia. Piuttosto, perché tu sai come si fa?»
«Beh» fece lui, accostandosi a Sam con una grossa foglia piatta fra le mani. «Quello è perché da piccolo ero negli scout. La mia prima manifestazione è stata un po’ tardiva»
«Capisco» disse lei, senza sapere bene come reagire a quella confessione. «Cos’hai lì?»
«Ah, sì! Mentre cercavo la legna per accendere il fuoco ho trovato un ramo viscidissimo. Insomma, per pura fortuna ho beccato proprio quello in cima a una tana di vermicoli»
«Le stelle sono allineate, pare»
«Oh, sì» rise lui, sistemandosi una ciocca ricciuta dietro l’orecchio. «E quella è… »
«Già. Dovrai mandare quel gufo al direttore»
«Dove andremo a finire» sospirò lui, per poi battere le mani. «Su, mettiamoci al lavoro, ché è meglio. Tu ti occupi della valeriana e della camomilla, e io della lavanda?»
«Sì, ti prego. Devo averne inalata troppa, perché mi sento un po’ stordita»
Andrea rise di nuovo. «Ti prego, non crollarmi ora, sennò finirò per far esplodere questa stanza»
«Cercherò di non addormentarmi» promise Sam, per poi impugnare per prima il pestello e gesticolare con l’attrezzo in mano. «E tu come fai?»
«Me ne sono fatto uno per me» spiegò, recuperandolo dai sassi che sorreggevano il tronco adibito a tavolo da lavoro.
«Non hai perso tempo, vedo»
«Non ne avevo intenzione, ma tu non tornavi più, così… »
«Beh, lieta che la mia assenza ti abbia reso più produttivo»
Tra una chiacchiera e l’altra, i due si misero a sminuzzare e tagliuzzare ogni ingrediente fin quando non riuscirono ad ottenerne frammenti quanto più piccoli e pastosi, le mani e le unghie tinte di verde.
«Dì un po’, cos’avevi di così impegnativo che hai deciso di non diventare Animagus negli anni scorsi?» domandò Sam, separando i rametti più corti di valeriana da quelli più lunghi un modo tale da poter attingere a fusti completamente lisci e ad altri ancora dotati di fiori.
«Sono il capo della mia squadra di Gobbiglie» rispose lui, facendo lo stesso con la lavanda.
«Ma dài!»
«Sì. E ti dirò: andiamo anche alla grande! Da quando ci sono io in squadra non abbiamo perso un incontro – ottima manualità, ricordi?»
«Avete fatto anche dei tornei internazionali?»
«Altroché! Contro i Paesi Bassi per poco non perdevamo – la Fossa del Serpente è infame, gli olandesi quasi ci hanno fatto fallo – ma alla fine sono rimasti spruzzati e ci siamo portati a casa la coppa»
«Io ci ho provato una volta – hai fatto con la lavanda? – ma ho perso clamorosamente» rise. «Credo fosse la versione classica»
«Eeh, le Gobbiglie non sono mica per tutti – tieni -, non capirò mai perché la gente non apprezzi a dovere questo gioco» piagnucolò ironico. «Giochi a qualcosa pure tu?»
Sam lasciò cadere quattro rametti di valeriana nel mortaio insieme a due misurini (due sassolini cavi delle dimensioni più o meno simili a quelle del misurino che usava a Hogwarts) di camomilla, e cominciò ad impastarli.
«Quidditch. Sono anch’io Capitano, Cercatrice»
«Wow, davvero?»
«Sì! Andiamo forte anche noi, ma non penso che continuerò dopo i MAGO. Puoi aggiungere due gocce di muco e due misurini di camomilla nel calderone?»
«Sùbito!»
«Poi tieni le fiamme medie, se riesci»
Andrea eseguì, prelevando un po’ di muco sull’estremità di un legnetto per poi scuoterlo all’interno del paiolo rudimentale. Quindi si chinò, soffocando un po’ il fuocherello con il terriccio umido.
«Perché non continuare? L’ambiente agonistico non ti ispira?»
«È solo un passatempo in realtà, sono entrata in squadra perché me l’ha chiesto la mia migliore amica – lei è una Cacciatrice -, preferirei concentrarmi su cose più pratiche» spiegò Sam, contando mentalmente fino a trenta prima di prendere tre misurini d’impasto e depositarli nel calderone. La valeriana avrebbe dovuto aspettare. «Ok, adesso non ci resta che aspettare»
«Ma come, non c’era qualche altro passaggio?»
«No, deve fermentare per settanta minuti»
«E quindi ora che si fa?»
«Chiamiamo i professori?»
«Di già?»
Sam quasi arrossì, stupita. «Beh, è già passata un’ora, si chiederanno se non siamo affogati»
«Io non credo» ribatté lui. «O sarebbero già passati a controllare»
«Ok, ma allora?»
«Boh, parliamo un po’. Tipo, come sapevi che questo è il nord Italia?» domandò, sedendosi con la schiena contro un albero.
«Ho cavalcato un Kelpie da queste parti, qualche anno fa». La Tassorosso lo imitò.
«Nooooo»
«Sìììì»
«E com’è andata?»
«Alla grande! Per poco non cadevo in acqua, ma è stato fantastico! Tu l’hai mai fatto?»
«Nah, solo ippogrifi. Una volta ho provato con un Thestral, ma è stato inquietante non vederlo per tutto il tempo, figurati volarci»
«Posso immaginare» concordò Sam. «E tu? Come sapevi che sono le Dolomiti? Vivi in questa regione?»
«No, ma le Dolomiti sono celeberrime! Io sono delle Marche – di Pesaro, per la precisione»
«È sul mare?»
«M-hm, sull’Adriatico, verso la Croazia». Sam cercò di visualizzare la mappa dell’Europa per orientarsi nella descrizione. Più o meno credeva di aver capito. «Tu però non sei di Londra, o almeno, non hai l’accento di Londra»
«Infatti, ma è un po’ complicato. Sono nata in Irlanda e ho vissuto lì da piccola, ma poi ci siamo trasferiti in Cornovaglia. E mia madre è scozzese, quindi non so neppure io con che accento parli»
«Un bel miscuglio, non c’è che dire. Sai anche il gaelico?»
«Sì, ma non lo parlo quasi mai, perciò non mi chiedere di dirti qualcosa perché sarebbe troppo imbarazzante»
«Uffa»
«Sei mai stato in Inghilterra?» chiese Sam dopo una breve pausa, allungando le gambe sul terreno.
«In Scozia» corresse lui. «Mi ero imbucato alla gita di Magia Internazionale al quarto anno, il vostro Preside è un tipo assurdo»
La Caposcuola rise. «Sì, è bizzarro anche per essere un mago. Ma perché ti sei imbucato? Non seguivi il corso?»
«Purtroppo no, era un casino trovare dei momenti per allenarci a Gobbiglie e con i tornei non potevo seguire troppe lezioni»
«Non avrei mai pensato che le Gobbiglie fossero più impegnative del Quidditch!»
«Ecco, ricrediti e diffondi il verbo!»
«Sarà fatto» promise lei solennemente.
Parlare con Andrea le veniva semplicissimo, e presto perse la cognizione del tempo. Fu solo quando cominciò a sentire puzza di bruciato che scattò in piedi, spazzolandosi la gonna mentre si affrettava a controllare il calderone.
«Cavolo, prendi dell’acqua, prendi dell’acqua!»
«Con cosa dovrei prenderla, secondo te?!»
«Che ne so, sei tu lo scout, mica io!»
Non erano passati i settanta minuti, ma a quel punto forse avrebbero dovuto accelerare i tempi. Qualche decina di secondi dopo, Andrea le arrivò accanto e riversò una grossa foglia piegata a cono nel calderone, ed il poco liquido che c’era si tinse di viola acceso.
«Oh-oh»
«Come oh-oh, il colore finale è molto simile, no?»
«Sì, ma dovrebbe assumerlo dopo aver aggiunto la valeriana»
«Oh-oh»
«Già. Provo ad aggiungere anche il resto, vediamo come va, tu prendi altra acqua, non si sa mai»
«Vado!»
In un attimo Sam si rimise all’opera, aggiungendo altro ingrediente base nel calderone e chinandosi per fare vento al fuoco in modo che la fiamma si alzasse. Poi prese ad aggiungere altri legnetti per farlo aumentare di dimensione e, dopo un tremendo minuto e mezzo in cui cominciò letteralmente a sudare (aveva deciso di allargare i tempi per l’incognita tenuta del calderone di pietra), gettò disperata la valeriana nel paiolo e mescolò sette volte in senso orario.
“Ti prego, diventa blu, ti prego diventa blu, ti prego diventa b-”
Nera. Era nera come la pece, e l’odore di bruciato si faceva sempre più intenso, i fumi minacciosi come saette.
«Come va?» le urlò Andrea da dietro, arrivando di corsa e riversando altra acqua nel paiolo.
«A questo punto non ho più speranze, spegniamo questa cosa prima di mandare a fuoco la foresta!»
Cominciarono così a fare avanti e indietro dal lago al calderone, bagnando se stessi più che il composto e, dopo i primi momenti di panico e agitazione, Sam si rese conto che si stava divertendo come una pazza, malgrado fosse mezza zuppa o ricoperta di terriccio. Andrea era messo pure peggio.
Alla fine riuscirono a domare le fiamme e a dare una parvenza di decenza alla mistura, accasciandosi al suolo supini, scossi dalle risa.
«Aah, se le lezioni di pozioni fossero sempre così divertenti, sarei stato molto più attento in classe»
«Puoi sempre proporlo al tuo insegnante, magari è d’accordo»
«Oh, sì certo, e io sono mago Merlino»
«Credo che dopo oggi non avrai più alcuna leva per minacciare il direttore sulla camomilla, visto che gliel’abbiamo bruciata tutta»
«Meno burocrazia, meglio così. Visto? Bisogna sempre guardare al lato positivo»[...]
Sam era così impegnata a ridere e scherzare con Andrea, sdraiata supina a godersi il fittizio spettacolo mozzafiato delle Dolomiti che si specchiavano sul lago, che non si accorse minimamente del ritorno della docente.
«Professoressa Grael!» esclamò sorpresa quando uno scricchiolio risuonò nella piccola radura, inducendola ad alzarsi di scatto e a spolverarsi la divisa sporca e ancora umida. «Mi scusi, ci stavamo solo-» cominciò a spiegare, ma le parole della donna le troncarono l’incipit, costringendola ad uno stupito mutismo. Aveva sentito bene? Si stava congratulando con loro? Incerta, ponderando se per caso non avesse davvero annusato troppa lavanda, si scambiò uno sguardo confuso con il ragazzo, tiratosi in piedi a sua volta. Lui però non rispose, stringendosi nelle spalle con un sorrisetto sornione che la Caposcuola interpretò come un “Lascia perdere e goditi il momento”.
Tornò dunque a fronteggiare l’insegnante, ricambiando incerta il suo sorriso mentre tentennava. «A dire la verità credevo che avessimo fatto un disastro, la pozione è persino bruciata… ma grazie» ammise, incapace di accettare le parole della docente con la consapevolezza di aver prodotto tutt’altro che il risultato stupefacente da lei menzionato. Non osò però aggiungere altro, annuendo all’invito di Medea ed afferrando la fialetta appena evocata per riempirla dell’intruglio tossico che avevano creato.
«Tieni» fece, porgendola al diplomando mentre ridacchiava sottovoce. «Portala a casa e mettici sopra un’etichetta con un teschio prima che sia troppo tardi»
Lui l’afferrò con aria lusingata. «Non credevo che avrei mai ricevuto una fialetta di veleno come souvenir, ma c’è sempre una prima volta» asserì, per poi intascarla con cura. Sam fece altrettanto, senza ancora accennare a raggiungere l’insegnante all’ingresso.
«Penso che la farò analizzare da mia madre, magari scopriremo che ha qualche proprietà nascosta»
«In tal caso mi riterrò offeso se non me ne metterai al corrente» ribatté lui con l’aria più contrita che riuscì ad assumere, prendendo la Cercatrice in contropiede. Sam tacque per qualche momento, le gote nuovamente rosse per la richiesta implicita nelle sue parole, il cuore che batteva a velocità più accelerata senza nessun motivo apparente. Poi però annuì con fare complice, frugando nella borsa fino a trovare una pergamena zeppa di appunti che avesse un margine sgombro, strappandone un pezzo ed afferrando al volo una penna. Meno di un minuto dopo, la O’Connor aveva già riposto il fogliettino con l’indirizzo di Andre nella tracolla, ponderando se ricambiare oppure no.
«Non preoccuparti, attenderò il tuo gufo su quella sottospecie di Pozione Soporifera che abbiamo preparato»
«Lo farò, lo prometto» gli assicurò lei sentendosi stranamente in colpa, forse un po’ troppo seriamente, prima di congedarsi dal ragazzo.
«Ok, penso che andrò a dare un’occhiata alla Sala Italiana» le fece l’occhiolino lui. Quindi si rispolverò la divisa, fece un cenno di ironico rispetto a Medea «Professoressa Grael… » e si dileguò, lasciandola sola con la docente.
Nashat aveva accennato a workshop e ad altre tavole rotonde prima di ascoltare la conferenza sulle ultime novità in ambito pozionistico, e la Tassorosso moriva dalla voglia di fare qualche altra attività prima di tornare a scuola, ma Medea le fece presente che era ormai ora di tornare al castello. Sam non indossava mai orologi e non sapeva con certezza che ora fosse, ma facendo una stima non le fu difficile immaginare che fossero ormai le sette passate e che a Hogwarts era già cominciata la cena. Era stata così concentrata ed euforica per quella gita che non aveva neppure fame, ma comprese con rammarico di non poter temporeggiare oltre, perciò si arrese ai saluti finali con un malcelato sospiro, ripromettendosi di tornarci anche l’anno successivo con o senza l’insegnante.
Medea e Nashat si lasciarono con lo stesso abbraccio di quando si erano incontrati, e quando venne il suo turno di allontanarsi si rese conto di non essere più nervosa come all’inizio. Chissà, forse era stato merito di Andrea. «Arrivederci, Nashat! Grazie per oggi, e ringrazia ancora anche Nadia da parte mia» gli sorrise sincera, non del tutto in grado di colpevolizzarlo per l’assoluta serenità con la quale le aveva spiegato come venivano prelevate le parti di animale per le pozioni. Magari la vedeva così con rassegnazione, visto che fino ad allora non si era ancora trovato un modo per appropriarsene senza ricorrere all’omicidio.
Alla fine Medea la incoraggiò a sbrigarsi e, di lì a poco, la O’Connor toccò la Passaporta predisposta per il ritorno e vorticò fino in Scozia. Le venne concesso qualche momento per riprendersi e, quando il sotterraneo smise di girare, Sam si avviò in direzione della propria Sala Comune per darsi una rapida rassettata prima di cena. «Moltissimo, grazie per avermici portata!» confermò. «Spero di poterci andare anche l’anno prossimo» aggiunse poi, dando voce ai propri pensieri. «Arrivederci» - “Buona cena” - «alla prossima settimana!». -
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SCUOLA INTERNAZIONALE DI ATENE
MINT PG1SAMANTHA JENSEN O'CONNOR - TassorossoAll’udire le spiegazioni di Duvall, Sam si dispiacque per la sorte dei vampiri con un sospiro, pensando che dopotutto, persino in un posto del genere c’erano delle limitazioni. Si domandò quale fosse la ragione dietro la non accettazione di quella categoria di esseri: se uno di essi era perfettamente in grado di controllarsi, e quindi di non nuocere agli altri studenti, perché non consentirgli di accedere all’Interculturale? Se il problema fosse stato (e ne dubitava) le loro inverse abitudini di sonno/veglia, era certa che una scuola come quella avrebbe saputo risolverlo, proponendo dei corsi solamente serali appositamente per loro, come già accadeva per centauri e maridi, impossibilitati a seguire tutti i corsi dei maghi.
L’idea delle “olimpiadi” poi le piacque immensamente, e subito la sua mente cominciò ad edificare le maestose parate delle diverse specie, le pioggie di frecce, i balli e le luci degli incantesimi intrecciarsi in cielo. Ancora una volta, si sentì in colpa a pensare quello di Hogwarts, che amava come una seconda casa, ma la prospettiva di eventi simili avrebbe reso la scuola britannica ancora più magica ed unita. Il Quidditch era una competizione che separava le Case più che unirle, e gli unici altri giochi che si fossero svolti entro il suo perimetro erano culminati con il ritorno del più grande mago oscuro del secolo e la morte di un ormai ex-Tassorosso, che ancora oggi i discepoli di Tosca ricordavano con fierezza.
Persino il metodo di ammissione di Atene rispettava le tradizioni e le culture delle tre specie principali che vi studiavano! Sam si ritrovò ad immaginare come sarebbe stato se anche a Hogwarts fossero stati istituiti quegli accorgimenti, e non escluse l’idea di farne parola con suo padre. L’uomo era un semplice membro della Squadra Speciale Magica, ma lavorando al Ministero magari avrebbe potuto discuterne con qualcuno dell’Ufficio per la Cooperazione Magica Internazionale o del settore dell’istruzione. Chissà.
Ad interrompere il suo flusso di fantasticherie fu l’ascesso di tosse di Duvall. Sam sobbalzò, già pronta a liberargli le vie respiratorie, bacchetta in pugno, quando il Professore gettò il volto nella grande vasca della fontana spiazzandola completamente. La Tassorosso si scambiò un’occhiata incerta con le due Corvonero, come a voler questionare la sua già discutibile sanità mentale, quando una roca voce greca li accolse. L’insegnante proseguì nella sua missione di ridicolizzarsi agli occhi di chiunque, mentre il proprietario di quel timbro silvano si faceva avanti. Era un grosso centauro dalla chioma folta, il preannunciato Mr Tatoupoulos; o meglio, il Preside, insieme alla maride che, con un’emissione di suoni simili ad un gracchiante scampanellio, emerse dalla fontana, ed all’austera quanto splendida strega dagli occhi verde foglia – Mrs Metrodora -, la quali si unì per ultima al gruppo disomogeneo. Sam aveva studiato l’organizzazione burocratica di quella scuola a lezione, ma vedere effettivamente di persona tre individui così diversi sapendo che si dividevano la carica di Preside era stupefaciente, e senza neppure conoscerli provò un gran moto di simpatia per tutti loro. Trovare un accordo, per quanto aperti allo scambio, non doveva essere sempre facile, ma dovevano esserci riusciti egregiamente.
Quando Duvall ebbe finito di sputacchiare fece le formali presentazioni e saluti – uno più caloroso degli altri – per poi incoraggiarle a dividersi e seguire il centauro o la maride. Sam corrugò le sopracciglia, combattuta e frustrata: si trattava di un’esperienza unica, perché limitarli a quel modo e non far provare loro tutto? Le foreste l’avevano sempre affascinata, ed i centauri le erano sempre parsi misteriosi e saggi a modo loro, ma essendo cresciuta in campagna aveva avuto molte occasioni di imparare a cavarsela anche senza bacchetta. Il mare invece era tutta un’altra storia. Le piaceva l’acqua, ma non era quasi mai stata in spiaggia se non a Plymouth un paio di volte, da bambina, e ovviamente mai aveva messo piede nel regno dei maridi, complici anche i regolamenti e la diffidenza della colonia di Hogwarts.
La sua scelta, per quanto malinconica (il solo pensiero di annusare il profumo del bosco le infondeva grinta e serenità) ricadde quindi su Miss Nymphadora.
Titubante, si avvicinò alla maride e ne osservò più da vicino, curiosa e discreta, la sua pelle azzurina, gli strani, tentacolari capelli ed i muscoli sottili ed affusolati. Si domandò come fosse vivere perennemente sott’acqua, se esistessero incantesimi che consentissero ai maridi di camminare sulla terraferma – magari una formula di Trasfigurazione – e se effettivamente quell’antico popolo provasse l’impulso di farlo. Quanto a lei, non credeva di poter rinunciare alle sue gambe.
Miss Nymphadora intervenì quindi personalmente per introdurre il programma agli studenti che avevano scelto di seguirla e porse loro una viscida pianta composta da vari filamenti che parevano code gommose di topo. Una pianta estremamente familiare, dato che le aveva cercate con Rose l’anno precedente sul fondo del Lago Nero. Al pensiero di ingoiare quella cosa le venne il voltastomaco, ma si disse che la trasformazione sarebbe avvenua in fretta. In quella, si pose un problema: avrebbe dovuto nuotare con la divisa di Hogwarts indosso? Non che sarebbe stato tragico, un incanto temperante avrebbe rapidamente risolto la questione, a saperlo si sarebbe portata qualcosa di più pratico… A quanto pareva la Preside condivideva il suo pensiero, e anzi, sgridò bonariamente Shane per essersi dimenticato di avvisarli di portarsi dietro un costume. Quando il camerino comparve, Sam lo scrutò per qualche istante, preoccupata di cosa vi avrebbe trovato, ma alla fine frugò all’interno fino ad estrarne uno blu e bianco, con il disegno di uno squalo che aveva tutta l’aria di star per divorare la sirena in superficie. Subito le sue iridi scattarono preoccupate verso Miss Nymphadora, ma lei non parve farci troppo caso e la O’Connor lo infilò scuotendo la testa per l’assurda ironia del loro Professore. Quando fu pronta, il fresco vento mediterraneo sulla pelle, si immerse nella vasca, rabbrividendo ed appoggiandosi al bordo, prima di costringersi a ficcarsi l’algabranchia in bocca. La sensazione di amaro viscidume fu persino peggiore di quanto si fosse aspettata e quasi non rigettò.
“No…Resisti e ingoia”
Inspirò profondamente dal naso e, a costo di strozzarsi, mandò giù deglutendo senza neppure masticare. La pianta le raschio contro l’esofago, dolorante per la dilatazione innaturale, ma scivolò senza particolari problemi lungo il tubo finché Sam non cominciò a sentirsi soffocante. Capì al volo cos’avrebbe dovuto fare: senza nemmeno prendere fiato, si gettò sott’acqua, rimanendo poco sotto la superficie per poter riemergere in caso qualcosa fosse andato storto.
Invece, poco alla volta e piuttosto dolorosamente, la Tassorosso sentì aprirsi dei buchi sotto le sue orecchie, sul collo, e le dita incollarsi da una membrana che le palmò anche i piedi. Inspirò, espirò, e l’acqua le passò attraverso le narici e le branchie come fosse aria liquida. Era una sensazione stranissima, probabilmente la più bizzarra che avesse mai provato, eppure quell’incredibile novità le diede la carica per ribaltarsi a testa in giù, seguendo la coda di Miss Nymphadora lungo un tunnel trasparente che dall’altopiano con la fontana collegava essa al mare. Il tubo doveva essere persino più lungo di quanto si fosse immaginata, perché dopo essere scesi di diversi livelli si ritrovarono a costeggiare aule per metà sommerse, piene di visi amichevoli e differenti per sesso e razza. Sam non poté fare a meno di ricambiare con un gesto della mano ed un sorriso, la chioma rossa che le fluttuava alle spalle come una viva fiamma.
Via via che si avventuravano più in profondità, la Tassorosso avvertiva la temperatura cambiare. Avvertì quasi la pelle d’oca, ma lo sbalzo termico non fu eccessivamente violento e in meno di un minuto già ebbe smesso di tremare.
Miss Nymphadora le precedeva, ed ora che si trovavano sott’acqua la sua voce prima stridente ora risuonava morbida e delicata come un canto angelico. Stava dando loro le coordinate della loro città ed altre nozioni con lo scopo di rassicurarli – “Accidenti, una coltivazione intera! Eppure è una pianta così rara!”. Ad esse aggiunse un’infarinatura di storia maride, i cui sovrani portavano nomi solenni ed araici, finché la vista del palazzo sottomarino non la indusse a cessare la lezione per dare il tempo ai visitatori di osservarlo. Sam aprì istintivamente la bocca, per poi richiuderla istintivamente un attimo dopo, momentaneamente dimentica di essere in grado di respirare sott’acqua, mentre con le iridi cerulee scrutava la fortezza tutta colonnati e tetti circolari che stanziava di fronte ad una scogliera colma di incavi scuri che dovevano essere grotte. No, anzi, i dormitori. Ancora una volta Sam subì lo “shock” culturale: era davvero un modo di vivere completamente differente da quello dei maghi: lei odiava chiudere le serrande prima di addormentarsi, adorava osservare le stelle e la luna attraverso i vetri, mentre una caverna subaquea doveva essere terribilmente buia e fredda la notte. Eppure i maridi non ne risentivano, e parevano perfettamente a loro agio con tutto ciò che li circondava. Forse anche lei avrebbe dovuto imparare a sapersi adattare.
Poi, mentre si domandava se sua madre e sua zia avessero mai chiesto rifornimenti per la loro farmacia ad una greca, Miss Nymphadora li scortò oltre un’ampia arcata affiancata da colonne intrecciate di alghe e conchiglie di ogni stile architettonico fino all’ingresso del castello, dove ad attenderli c’erano quelli che dovevano essere alcuni studenti più grandi. Forse avevano persino una ventina d’anni dato quanto aveva affermato Duvall sull’età a cui le varie specie raggiungevano la maturità. Sam sorrise timidamente agli sconosciuti, piuttosto curiosi, e si spinse ad avvicinarsi a due di loro, che stavano indicando e sorridendo affascinati per le sue ciocche scarlatte, niente che appartenesse alla loro natura, e che probabilmente avevano visto di rado anche tra gli studenti maghi dell’Interculturale, data l’etnia.
«Ciao» pronunciò, e la voce le fuoriuscì in una serie di bolle che deformarono il suo timbro e fumarono la parola rendendola incomprensibile. I due maridi invece parvero comprendere, perché risposero alla cordialità con le loro voci melodiose. «Ciao a te, e benvenuta! Io sono Anielka, e lui è Ujarak».
«Molto piacere!»
Il loro inglese era perfetto, solo un vaghissimo accento che la O’Connor non aveva mai udito lo macchiava.
«Io sono Sam» no, non si sarebbe mai abituata a non capire ciò che diceva «il piacere è tutto mio!»
«Allora, cosa vuoi vedere?»
«Ehm… » la Tassorosso tentennò. Da dove partire? Escluse i dormitori e le aule – chissà, magari stavano facendo lezione, e lei non se la sentiva di diventare l’oggetto di interesse di tutti. Sapeva che c’erano anche delle piantagioni, ma avrebbe preferito visitare qualcosa di più particolare. Perciò scartando rapidamente le ipotesi raggiunse la sua conclusione. «Potreste portarmi alla mensa?»
Ujarak rise. «Ma certo, ti ci accompagno io!» si offrì, facendo imbronciare Anielka.
«E perché proprio tu?»
«Perché tu sei pedante! Senza contare che ha già visto Miss Nymphadora, vorrà parlare anche con un maride maschio, presumo. E poi, guarda!» indicò con un lungo braccio verdognolo un punto oltre di loro. «Sta arrivando qualcun altro!»
Anielka quasi ci cascò, ma nel breve lasso di tempo in cui la maride si prese la briga di controllare, Ujarak aveva già afferrato Sam per un braccio ed aveva cominciato a nuotare velocemente, come avesse un propulsore al posto della pinna, ridendo come un matto. La sua voce era uno scampanellio di cori bianchi e la O’Connor non poté fare a meno di sorridere mentre lo osservava. Aveva gli occhi completamente neri, lasciando solo una piccola porzione di iride bianca scoperta, ed in testa non aveva quasi tentacoli, o qualsiasi protuberanza che potesse somigliare a dei capelli.
«Perché scappiamo? Sa dove siamo diretti» domandò Sam quando lui la lasciò, riprendendo a nuotare a velocità normale attraverso i colonnati ed i lunghi corridoi in più punti privi di coperture. Il sole filtrava attraverso i due kilometri d’acqua, creando giochi di luce tra le alghe, i preziosi ed i coralli.
Ujarak rise di nuovo. «Perché mi piace prenderla in giro» rispose semplicemente, per poi virare a sinistra. «Per di qua»
Il corridoio del chiostro si immetteva in una piccola anticamera dalla pavimentazione di pietra beige completamente spoglia che si apriva su un’altra arcata coperta da un velo di lunghe alghe rosse e verdi intrecciate. Ujarak ne scostò un paio e le tenne sospese, fluttuanti nella corrente. «Dopo di te»
Sam arrossì e mimando un “grazie” con le labbra lo precedette.
«Ooooh!» esalò in una scia di bolle quando vide l’interno. Non aveva niente a che vedere con la Sala Grande. Si trattava di un’immensa stanza sul cui soffitto era sospesa una grande conchiglia bianca, la cui immensa perla catturava la luce del sole e la rifletteva nella sala. In ogni angolo c’erano agglomerati di coralli, conchiglie, piccoli scogli, ciuffi di alghe pioventi dal tetto ancora una volta quasi assente, bassorilievi con incisa la storia maride, colonne spaccate che fungevano tanto da sedie quanto da tavoli e qua e là dei tronchi sprofondati da tempo immemore nei flutti, i cui nodi ospitavano granchi e molluschi. C’erano inoltre anfore lobate dai grandi manici di tradizione ellenistica che ospitavano bracci di petali e anemoni multicolori. Non doveva essere ora di pranzo, perché non c’era quasi nessuno, ma Sam non riuscì a distinguere insegnanti ed alunni tra i pochi presenti, intenti a gustarsi cozze, vongole, cappesante e qualche coloratissimo fiore marino che Sam non aveva mai visto. Ogni tanto qualche banco di pesci si insinuava tra le pareti fratturate in un fiume di pinne e arcobaleni.
«Ma è… bellissima!»[...]
Sam ebbe l’impressione che il tour fosse durato troppo poco, e quando a malincuore Ujarak la ricondusse alla piazza circolare designata come punto di ritrovo, la ragazza avvertì l’impulso di scappare, tornare indietro ed esplorare tutti i corridoi e le ale che aveva solo scorto tra una finestra ed un portico. A trattenerla era la consapevolezza che probabilmente si sarebbe persa in quel dedalo di colonnati, costringendo il Professore ed i Presidi dell’Interculturale a darle la caccia, interrompendo e disturbando le attività degli altri. Un gesto estremamente egoista insomma, che non avrebbe mai compiuto. Sorrise quando Miss Nymphadora batté le mani, in un bizzarro spettacolo da mimo privo di suono. La maride si avvicinò poi a tutti loro, e quando fu di fronte al duo che accompagnava la Tassorosso il suo sguardo si fece più tagliente. Anielka lo sostenne rispettosamente, in un atteggiamento che poteva solo voler dire che era certa di aver adempiuto ai propri compiti, mentre Ujarak arrossì, non del tutto a posto con la coscienza. A Sam dispiacque vederlo così indagato, perciò, in un tono timido che non adottava da anni, prese le difese del compagno.
«Sì, mi hanno raccontato cose davvero interessanti, mi hanno anche regalato questo» la informò, ruotando leggermente il capo verso destra per mostrarle il fiore appigliato alle sue ciocche scarlatte, che fluttuava in ampie volute di rosa chiaro creando un delicato contrasto con i suoi capelli. Non era una menzogna. Mentre tornavano dalla mensa, Ujarak si era imbattuto in un paio di suoi amici e si era fermato brevemente con loro a discutere di qualcosa in maridese, senza che Sam potesse capire. Uno di essi aveva infine detto qualcosa rivolto a lei e le aveva porto il fiore da una cassetta che stava trasportando, prima di farle l’occhiolino e nuotare via. La O’Connor era rimasta sorpresa, le guance improvvisamente più colorite, e aveva domandato alla sua guida cosa fosse successo. I maridi avevano discusso su cosa fare quel pomeriggio e nei giorni successivi (e Sam aveva quindi appreso che le loro attività preferite erano esplorare grotte e fare delle specie di cacce al tesoro con pesci che amavano mimetizzarsi), dopodiché l’amico le aveva rivolto delle parole di apprezzamento. La cosa l’aveva lusingata più di quanto pensasse, soprattutto perché il suo costume assurdo non era esattamente rispettoso nei confronti del popolo del mare.
Una volta che la Preside ebbe terminato il giro di ronda, concesse alle delegazioni un’ora di tempo per mangiare, e Sam si illuminò di contentezza all’idea di rientrare nell’edificio. Fece quindi per rivolgersi ad Anielka, ma la maride era già nuotata via da qualche altra parte, così Ujarak si strinse nelle spalle e la affiancò mentre rientravano.
«Aah, lasciala perdere» commentò divertito, con uno sguardo carico d’affetto. Sam non voleva essere indiscreta, ma si chiese se per caso Ujarak non avesse un debole per la compagna. Il ragazzo però sembrò intuire al volo i pensieri della strega, perché rise in un melodioso insieme di notte chiare, per poi spiegarle che era sua cugina.
«Oh» si limitò ad emettere Sam, mentre un’unica bolla lasciava le sue labbra e si disperdeva nel Mediterraneo.[…]
A quanto pareva gli amici di Ujarak parlavano inglese perfettamente, ed il maride che le aveva donato il fiore, Eustachios, parve piuttosto contento di averla seduta accanto a loro a tavola. Le avevano ceduto il posto sulla valva di una conchiglia, mentre loro si erano posizionati su alcune rocce dall’aria comoda ricoperte di soffice muschio. La mensa andava via via riempiendosi, ma i quattro avevano già quasi terminato il loro pasto prima che ogni colonna e sasso fosse preso dal resto della scolaresta. Sam aveva dovuto gentilmente rifiutare il pesce fresco che le avevano offerto spiegando che era vegetariana, così le avevano rimediato dei frutti di mare che gamberi e ostriche non erano, qualche particolare pianta commestibile e persino un’altra algabranchia, dato che la sua prima ora era ormai giunta al termine. Sam ingoiò il groviglio viscido disgustata, facendo ridere i maridi in un quartetto d’archi che risuonò nella sala.
«Sì, sì, ridete… » borbottò lei con una bonaria occhiataccia «Beati voi che non avete bisogno di questa per respirare sott’acqua».
Grazie a loro stava vedendo il mare come non l’aveva mai visto. Non solo, si trattava del Mediterraneo, le cui acque mantenevano sempre una punta di tepore nonostante fosse autunno inoltrato e, insieme alla luce solare quasi perennemente sfavillante nel cielo azzurro, conferivano ai fondali una vibrazione surreale, incantata e sospesa. Si era ritrovata affascinata dall’architettura antica, i modi affabili (così diversi da quelli dei maridi del Lago Nero!), dalla lingua grammaticalmente aspra e sonoramente armoniosa, e la varietà di flora e fauna, coloratissime e incantevoli, tanto che la sua iniziale ritrosia a vivere negli abissi era scemata di molto.
Al suo ritorno nella piazza principale – stavolta ci era saputa arrivare da sola, senza chiedere nulla a Ujarak che la seguiva tranquillamente alle spalle – le delegazioni vennero radunate e Miss Nymphadora illustrò la successiva attività. Al pensiero di avere un avvicino tanto accosto, Sam si inquietò un poco, ma sapeva che il suo timore, almeno lì ad Atene, era ingiustificato. Certo non avrebbe osato stuzzicarli o infastidirli, ma sapere che non sarebbe stata strangolata era una prospettiva decisamente positiva. Le bighe che giunsero poco dopo, trainate ciascuna da una coppia di avvincini, erano nere come l’onice e dure come il corallo, splendenti con i loro intarsi di alghe. Alla prospettiva di una gara, la Tassorosso si esaltò più di quanto lei stessa si sarebbe aspettata, le membra frementi di aggrapparsi ad una delle bighe e cimentarsi nel gioco. Non pensava che sarebbe riuscita a vincere, ma non aveva dubbi che si sarebbe divertita un mondo.
In un istante, Anielka si materializzò accanto a lei, meno spocchiosa di quanto si era mostrata poco prima. Evidentemente non apprezzava granché la costante presenza del cugino.
«Ciao, Anielka!» salutò. «Sarai tu a insegnarmi?»
La maride annuì con un sorriso, i tentacoli che aveva per capelli ondeggiarono tra i flutti. «Le corse con le bighe sono la mia specialità, saremo avversarie, più tardi» preannunciò. Sam ricambiò l’espressione gioiosa. Era contenta che tra i contendenti ci sarebbe stata lei, che non si sarebbe ridicolizzata di fronte a degli sconosciuti (non che le regole della scuola avrebbero consentito ad eventuali commenti discriminatori o derisori di passare inascoltati).
«Non vedo l’ora di iniziare!»[…]
Anielka era un’istruttrice eccellente. Era paziente, precisa, adattava i consigli alle esigenze di Sam ed usava frasi semplici ed immediate che permisero alla Tassorosso di comprendere al volo i punti chiave. Il problema principale, a quanto pare, sarebbe stato che gli avvincini eseguivano solo comandi in maridese, così Anielka le aveva insegnato tre semplici termini (“veloce”, “avanti”, “piano”, “stop” e “gira”) in modo tale da essere in grado di gestirli autonomamente. Sam le aveva domandato se anche gli studenti maghi dell’Interculturale partecipassero a quei tornei e «Qualche volta» aveva risposto lei, sistemando le briglie «naturalmente, anche loro parlano agli avvincini in maridese, per esercitarsi con la lingua». Quelli erano i primi suoni che Sam apprendeva in lingua straniera, e ne fece tesoro, ripetendoli più e più volte ad Anielka, che la aiutò nel perfezionare la pronuncia prima di farla salire sulla biga.
Nonostante vi fosse una superficie su cui posare i piedi, Sam non pensava che vi si sarebbe appoggiata date le piante palmate che si ritrovava, perciò si limitò ad aggrapparsi alle briglie. Queste erano fissate ai corpi degli avvincini con resistenti alghe ma morbidamente, così da non ferire le creature, ed un filamento più rigido all’interno consentiva loro di sferzare l’acqua rapidamente per non ledere alla velocità della biga. Aneilka le aveva mostrato come impugnare le redini con la mancina dominante – la maride era destrorsa -, avvolgendosele al polso così da avere un maggiore controllo, mentre avrebbe usato la destra come accompagnamento.
Fortunatamente, Sam non avrebbe dovuto affrontare il problema di rimanere in equilibrio, dato che avrebbe fluttuato anche lei, perciò dapprima si focalizzò sul rettilineo e poi sulle curve. Ce ne sarebbero state tre, una a destra, una più ampia a “u” e una a sinistra che avrebbe ricongiunto il percorso al punto di partenza. Anielka la fece esercitare con tutte, ma se Sam riuscì a cavarsela con due di quei tipi, le sterzate a destra erano particolarmente complesse, perché richiedevano destrezza nell’avvolgersi le alghe di traino all’altro polso per rinsaldare la presa e guidare gli avvincini con maggiore decisione, senza confonderli.
Quando l’ora stava per terminare, Anielka prese possesso della biga e condusse Sam all’arena in tutta fretta – la strega dedusse che fosse preoccupata perché l’effetto dell’algabranchia sarebbe svanito di lì a poco – e difatti quando approdarono all’ingresso, subito Miss Nymphadora le accolse reggendo in mano un’esemplare della pianta e scoccò un’occhiata di rimprovero alla maride. Sam ringraziò la Preside, ma non era affatto arrabbiata con Anielka e si premurò di farglielo sapere.
«Oh, ci mancava» sbottò la sirena, focalizzando gli occhi acquosi su qualcosa alle spalle di Sam. Quest’ultima si voltò, solo per veder giungere un maride più alto di Ujarak, più muscoloso, dalla pinna particolarmente tagliente e le cornee lucide come quelle dei crostacei. La O’Connor sapeva che lì non avrebbe incontrato fenomeni di discriminazione, ma nessuno aveva detto niente sulla boria, e d’altronde sarebbe stato un po’ utopistico che ogni singolo studente dell’Interculturale avesse un animo buono e gentile.
«Chi è?» chiese Sam, notando che la coda di Anielka aveva cominciato a sferzare a destra e a manca con palese fastidio.
«Rakim» sputò, in una melodia sprezzante. «Anche lui corre con le bighe. È bravo, ma si vanta un po’ troppo».
Sam avvertì una punta di amarezza in quelle parole, probabilmente il maride l’aveva sconfitta in più occasioni. Le dispiacque vedere Anielka, così orgogliosa, in quelle condizioni, così le fece una proposta.
«Senti, è improbabile che io vinca, né è il mio obiettivo. Non so che premio abbia preparato la vostra Preside, ma per me il miglior pegno che potrei ricevere per questa competizione è vederti tagliare il traguardo per prima». Anielka era sbalordita, i grandi occhi increduli. «Voglio aiutarti a vincere, farò di tutto per tenere questo Rakim impegnato». Anielka sembrò ponderare la dichiarazione della strega. Sam sapeva che avrebbe voluto raggiungere il primo posto solo con i suoi meriti, ma sarebbe stato divertente vedere il grande campione in difficoltà contro una visitatrice esterna che non era mai salita su una biga prima d’allora, così accettò.
«Facciamogliela vedere»[…]
Anielka, Sam e Rakim erano posizionati uno accanto all’altro sulla riga di partenza. Gli avvincini galleggiavano palpitanti davanti alle bighe lucide, mentre di fronte a loro si snodava il percorso, composto da tre rettilinei e tre curve, per un totale di due chilometri. Era poco, pochissimo, la gara si sarebbe conclusa in un attimo. Non ci sarebbe neppure stato il tempo di usare la bacchetta, e comunque la sua l’aveva lasciata nella borsa alla fontana, affidata alle attenzioni di Duvall.
Sam si sentiva come prima di una partita di Quidditch, con il cuore tamburellante nella cassa toracia, le pulsazioni ripetute, accelerate che spingevano contro i timpani e la giugulare, i muscoli delle braccia tremanti, ma le mani ben ferme. Attorno a loro, tutto attorno al percorso, c’erano delle basse gradinate in pietra, spaccate in più punti, che fungevano da spalti. Non erano completamente occupate – di certo moltissimi studenti erano a lezione – ma c’era un consistente pubblico che gridava e acclamava in maridese. Tra i vari canti sconosciuti, all’improvviso si levarono delle parole in inglese, e Sam si voltò quasi di scatto verso quella fonte, individuando Ujarak e i suoi amici ad una ventina di metri di distanza, che stringevano uno striscione improvvisato e la incitavano chiamandola per nome. La ragazza si impose di non arrossire; invece, alzò il pugno in un cenno combattivo, e poco dopo la folla si placò, per permettere agli sfidanti di udire il countdown.
Tre.
Sam strinse saldamente le briglie, serrando la presa sulla destra, che avrebbe dovuto sfruttare nella prima curva.
Due.
Si voltò alla sua sinistra, per scambiarsi un cenno d’intesa con Anielka che, seppure concentrata, le sorrise complice. “Che vinca il migliore”, le aveva detto Rakim, beffardo. “Lo farò”, aveva ribattuto l’altra, provocatoria.
Uno.
Si sporse leggermente in avanti, per essere più aerodinamica (o meglio, idrodinamica), i capelli legati in una lunga treccia colma di acetabularia che le aveva portato Eustachios – sul serio, perché quel maride si portava sempre appresso delle piante? – per evitare che le finissero negli occhi, facendola sbandare.
Via!
Sam diede la sua stoccata, incitando con un «Avanti!» i suoi destrieri. Anielka e Rakim erano schizzati in avanti come due proiettili, i piccoli avvincini galoppanti e agguerriti che tagliavano i flutti, mentre Sam avvertiva lo stomaco ribaltarlesi nel ventre, schiacciato contro la colonna vertebrale. Inspirava a pieni polmoni e le sue branchie lavoravano alla svelta, immettendo ossigeno ed espellendo acqua in eccesso. Aveva già provato quella sensazione durante l’allenamento, ma Anielka aveva ritenuto migliore che lei padroneggiasse un minimo le basi più che spingere la biga a tutta velocità, perciò non si attendeva una tale propulsione. I suoi avversari l’avevano staccata in fretta, e non poteva permettersi di far aumentare il distacco, o non avrebbe potuto aiutare l’amica a dovere. «Veloce! Più veloce!» gridò in un turbinio di bolle confuso, tanto che non seppe come gli avvincini fossero riusciti a capire il suo maridese.
Ecco, la prima curva si avvicinava…
«Piano, girate!» gridò, approfittando di trovarsi alla sinistra di Rakim per recuperare un po’ di vantaggio, anche se l’altro continuava a starle davanti. L’altra curva incombeva, a meno di cinquanta metri, e Sam si preparò ad affrontare il movimento centripeto della “u”. Avrebbe voluto rinsaldare meglio la presa sulla briglia sinistra, poiché la direzione del percorso ora sarebbe variata, ma gestire gli avvincini a quella velocità era estremamente più complesso di quanto pensasse. «Girate, girate! Forza, veloci!» li incitò, scuotendo le redini un paio di volte e ruotando i polsi, così da suggerire il senso da seguire. Forse però aveva ruotato un po’ troppo, perché uno dei suoi destrieri rischiò di urtarsi con l’altro ed il movimento confusionario per poco non fece deviare la sua biga fuori dal percorso. Sam la sentì inclinarsi, ed appoggiò un piede verso la sporgenza in modo da riequilibrare la carrozza. Se fosse stata in superficie, a quest’ora avrebbe sudato freddo. La rotazione della curva le fece girare la testa, e quando finalmente scorse il secondo rettilineo, diede ordine di accelerare senza nemmeno che la biga si fosse del tutto stabilizzata, sballottandola finché non riuscì ad approcciare la coda di quella di Rakim, fattosi d’un tratto più vicina. Capì solo in un secondo momento che stava rallentando per potersi immettere nell’ultima curva, poco più avanti, ma Sam non demorse. Mantenne la velocità ancora per qualche metro, salvo poi urlare «Piano, piano, ora girate, su!». La rapidità con cui era giunta all’ultimo tornante le aveva permesso di superare in toto la curva, l’anca sinistra premuta contro il bordo della biga per aiutarsi a sterzare prima di schiantarsi contro le gradinate e rimettersi in carreggiata cavandosela solo con un leggero graffio alla parte inferiore della carrozzeria. Si sentì immediatamente in colpa, pensando a quanto quelle carrozze fossero belle e quanto lavoro ci fosse dietro agli intarsi. Dopo la gara si sarebbe personalmente scusata con Miss Nymphadora per la sua avventatezza.
Ma eccola, infine, sull’ultimo rettilineo del tracciato.
«Via, al massimo, veloci! Veloci, veloci!»
Gli avvincini presero a nuotare con ancora più vigore, agitando i tentacoli e quasi avvitandosi per poter accelerare, e Sam quasi temette di affogare per tutta l’acqua che stava ingerendo. Dagli spalti, i cori dei ragazzi si fecero di nuovo assordanti, la sua testa un turbinio di pensieri, mentre sentiva il ventre schiacciato contro il bordo della biga, proiettata così in avanti da temere quasi di cappottarsi e venire sbalzata fuori. Ad un certo punto non era più nemmeno riuscita a capire chi fosse dove, troppo concentrata ad evitare di schiantarsi che la promessa fatta ad Anielka era passata in secondo piano.
E poi, sibilante come una freccia, tagliò il traguardo.[...]
Come aveva immaginato, la corsa si era conclusa nel giro di pochissimi minuti, e una volta tagliato il traguardo Sam si sporse in avanti, incrociando le braccia sul parapetto della biga per affondarvi il volto ed respirare profondamente, le branchie che vibravano, troppo agitata per riuscire a recepire stimoli esterni. Era finita. Com’era andata? Com’era possibile che non si fosse accorta di niente?
Poco a poco, inspirando ed espirando, si spinse a sollevare il capo – non osava immaginare in che condizioni versassero i suoi capelli, probabilmente tutta l’acetabularia che vi era intrecciata era volata via – e si guardò intorno. La folla era in giubilo: Eustachios e Ujarak si sgolavano più di chiunque altro, la Preside le sorrideva bonaria, Rakim era furente, e Anielka semplicemente raggiante. Il suo sorriso era come una fila di perle e le sue braccia vibravano, quasi incapace di trattenersi mentre si contringeva a rimanere ferma e immobile di fronte a Miss Nymphadora. Probabilmente era riuscita nel suo intento di rallentare il suo rivale, anche se non sapeva bene come.
La maride prese la parola e si complimentò con lei per la corsa – “Oh, almeno non ho fatto una pessima figura” – e per il primo posto.
“COSA?!”
L’espressione di puro stupore sul suo viso doveva essere parecchio evidente, perché la Preside contrasse un angolo della bocca come se stesse per scoppiare a ridere. Sam, momentaneamente dimentica delle buone maniere, spostò lo sguardo da Miss Nymphadora agli altri sfidanti, e le emozioni che trasparivano dai loro volti marini si fecero d'un tratto più chiare. Aveva vinto. Sbatté le palpebre, strabiliata. Aveva vinto.
Quasi in trance, tornò a guardare la Preside ed aprì le mani quando ella vi depositò una conchiglia contenente una lucidissima perla nera. Doveva essere un oggetto molto particolare e prezioso, perciò la Tassorosso si impegnò per concentrarsi sulle parole della sirena. Quando comprese di cosa si trattava si commosse (non che la lucidità delle sue cornee fosse visibile sott’acqua), e «Grazie» deglutì in una serie di piccole bolle. Non riuscì ad aggiungere altro, ma tanta era l’emozione nella sua voce che probabilmente la Preside l’aveva percepita ugualmente.
Era ormai ora dei saluti. Sam annuì alle parole della maride, e insieme ai nuovi amici che aveva incontrato la seguì fino all’imboccatura del tubo. Lungo tutto il tragitto si era premurata di dare una seconda, una terza occhiata a tutto, alle sale, ai colonnati, alle piante multicolori e vorticanti, persino all’arena e alle bighe, già nostalgica all’idea di lasciare quel posto.
Prima di imboccare il passaggio, Sam chiese a Miss Nymphadora qualche minuto per potersi congedare adeguatamente dagli altri, ed ella accettò, pur sollecitandola con gli occhi intelligenti di non impiegare troppo: l’effetto dell’algabranchia sarebbe svanito di lì a poco.
La Tassorosso si voltò quindi verso il suo seguito. Anielka fu la prima a gettarle le braccia al collo, gioiosa come non mai, incapace di contenere l’eccitazione.
«Hai vinto! Oddio, avresti dovuto vedere la faccia di Rakim! Glielo rinfaccerò per sem-». L’occhiataccia della Preside le impedì di terminare la frase. «Voglio dire», si rischiarò la gola, con un verso basso come un oboe. «Sei stata bravissima. Rakim ha molto da imparare!». Non le disse quale posto avesse guadagnato, ma suppose che le stesse benissimo così.
Poi venne il turno di Eustachios, che si era portato dietro lo striscione e una cassetta colma di quei fiori rosei e di acetabularia che le aveva dato. «Prendili, ti stanno molto bene»
Sam sentì un moto di tenerezza nei suoi confronti. «Non so se posso portarmi dietro tutta la cesta, ma ti prometto che molti di essi verranno con me!»
Infine toccò a Ujarak, la cui stretta fu meno poderosa, ma altrettanto amichevole. «Ciao, Sam, è stato davvero grandioso conoscerti! Per favore, torna a salutarci qualche volta»
La O’Connor annuì vigorosamente. «Ma certo che lo farò! Mi mancate già tutti» confessò dedicando a ciascuno di loro uno sguardo caloroso, per poi costringersi a distaccarsi.
Li salutò con una mano palmata ed un sorriso enorme. «Ci vediamo presto!»
Tornare a respirare aria e non acqua fu estremamente strano, e per qualche momento Sam tossicchiò, sputacchiando mentre appoggiava spossata la cassetta di Eustachios sul bordo di pietra del bacino ed avvertiva la sferzata di vento autunnale lambirle la pelle bagnata, facendole venire la pelle d’oca e battere i denti. Voleva solo cambiarsi, infilarsi la sua divisa e tornare al caldo.
Come se le avesse letto nella mente, il Professore andò loro incontro, la aiutò ad issarsi fuori dalla fontana e, con un incantesimo temperante, la fece asciugare rapidamente, cosicché potesse indossare camicia, gonna e giacca senza inumidirli. Non appena si fu rivestita Sam acciuffò la sua borsa, vi depositò con cura la conchiglia con la perla e vi frugò concitata, finché non ne ebbe estratto la sua agenda. A passo svelto, tornò alla cassetta e prelevò qualche esemplare delle piante che Eustachios le aveva regalato, posizionandoli tra le pagine per farli essiccare.
«Temo di doverle lasciare questa» accennò, ammiccando in direzione del cestino. «Ringrazi ancora Eustachios da parte mia. È stato un piacere anche per me, Miss. Arrivederci!». -
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VERITASERUM
POZ PM2SAMANTHA JENSEN O'CONNOR - TassorossoLa Tassorosso si decise a sollevare lo sguardo sulla docente solo una volta terminato il suo lungo sproloquio, consapevole che le iridi della professoressa non l’avevano mai abbandonata. Si sentì immediatamente a disagio, timorosa di aver detto troppo, troppo poco, o di aver formulato ipotesi campate per aria, ma la domanda che Medea le pose non aveva niente a che vedere con le teorie della Cercatrice. Il quesito la prese in contropiede, e subito un moto di senso di colpa si impossessò del suo petto, mentre cercava in tutti i modi di non suonare falsa.
«Sì… ». Ritenta. «Beh, è stata una settimana molto pesante e ho varie cose per la testa, ma sto bene. So che suona paradossale, ma quando sono molto stanca tendo a straparlare». Quell’ultima parte era vera, eppure tentennò ancora qualche istante, consapevole che come giustificazione non sarebbe bastata. «Probabilmente la gita di oggi è proprio ciò che ci vuole per riscuotermi un po’» e abbozzò un sorrisetto, sperando che il suo ottimismo convincesse la Grael del suo stato di salute. Sam era una pessima bugiarda, ma la ex-Serpeverde, per quanto insistente, decretò infine che potesse viaggiare, al che la O’Connor poté tirare un silenzioso sospiro di sollievo.[…]
Solo una volta al Ministero della Magia, all’interno dell’Ufficio Auror, comprese perché fosse stata così docile: se non avesse voluto rispondere onestamente di sua spontanea volontà, l’avrebbe costretta.
“Oh, no”
Panico.
Samantha sbiancò, gli occhi sgranati, e per poco non le venne un capogiro. Perché, perché non era rimasta in dormitorio?! Perché aveva dovuto costringersi a scendere nei sotterranei? Si metteva male. Non aveva idea di cosa Medea le avrebbe chiesto, ma quella strega era capace di tutto… e se avesse scavato nel personale? Se l’avesse forzata a rivelarle del suo incontro con Nathan e delle sue bravate con il L.A.T.T.E? Quasi le veniva da piangere per l’angoscia. Non poteva tradire i suoi amici, non avrebbe mai potuto perdonarselo, Veritaserum o meno. Loro non l’avrebbero perdonata. Se anche la Grael le avesse chiesto solo cosa le stesse passando per la testa, allacciandosi alla sua precedente scusa, sarebbe stata la fine. Era come se si trovasse ancora nel vortice della Metropolvere, che avevano preso poco prima passando attraverso il camino dello studio della docente. Sam ci era stata solo un’altra volta, per chiederle il permesso di poter accedere ad uno speciale libro nel Reparto Proibito.
“Oh, Tosca, no, per favore”
Avrebbe potuto scoprire dei suoi incubi, le avrebbe rinfacciato le proprie ammonizioni, forse persino alterato la memoria per garantirle qualche notte di sonno tranquillo… Il nervosismo andava crescendo, e con esso l’adrenalina e la rapidità dei suoi battiti cardiaci. Se non altro, la sua speranza si era avverata: era molto più sveglia di prima. Peccato che non le sarebbe servito a molto. Non potevano andare direttamente al RECDCM o all’Ufficio Incidenti? Era davvero necessario che fosse lei ad assumere il siero della verità? Non poteva piuttosto fare la parte dell’Auror? Il nodo alla gola era ormai stretto come un cappio, le orecchie sorde al caos dell’atrio, al trillo dell’ascensore o al vocio degli Assessori.
Stava cercando disperatamente un modo per cavarsi da quell’impiccio, fingendo di ascoltare le spiegazioni della Grael a proposito dei cacciatori di maghi oscuri e delle caratteristiche della prima pozione che avrebbe dovuto bere, sicuramente già elencate esaustivamente nel libro di testo.
E poi, l’ex-Serpeverde tacque, un’ampolla con il contagocce stretta in mano. Ovviamente, il suo “se me lo permetti” era un inciso di circostanza che poteva essere benissimo tradotto con “non hai scelta”.
“No, no, no…”
Forse non avrebbe esagerato. Forse sarebbe stata clemente, o magari sarebbe stata in grado di controllarsi almeno un po’. Ma poi si diede dell’idiota: era di Medea che si stava parlando, ed immaginarla nei panni della persona clemente era pura fantasia.
Si morse le labbra, i pugni serrati: più avrebbe temporeggiato, più la donna si sarebbe incuriosita. Che cosa mai le potesse interessare, delle informazioni che le avrebbe scucito, per la O’Connor era un mistero – non che avesse intenzione di scoprirlo.
Era così tesa che riuscì a malapena ad annuire, prima di accasciarsi su una sedia lasciata libera da un Auror e tendere in fuori la lingua, le unghie che continuavano imperterrite a tormentarsi la carne morbida delle dita. Forse una goccia non sarebbe stata così letale, forse, per quanto inesperta, aveva sufficiente potenziale magico per resistere all’impulso di aprirsi con l’insegnante.
La goccia che le cadde in bocca era inodore ed insapore, ma lì per lì non percepì alcunché, domandandosi se per caso non fosse avariata. Si sentiva esattamente come prima, agitata ma più che capace di mantenere le labbra serrate.
Almeno finché la Grael non le pose la prima domanda.
«Dunque… » cominciò con lentezza, le pupille della Caposcuola che la seguivano come rapite. «Fingiamo per un attimo che io non voglia credere alla storia della settimana pesante. Come mai oggi sembri più esagitata che Juice in overdose da succo?»
«Perché sono stanca» enunciò la ragazza candidamente, prima ancora che potesse pensare a come formulare la risposta. «Quando sono stanca parlo molto velocemente»
Medea sembrava sospettosa, mentre Sam, da qualche parte nel suo cervello, si chiedeva se fosse stata lei stessa a replicare in quel modo o una sua parte inconscia. In ogni caso, era terrorizzata all’idea che la strega indagasse oltre.
«Mmh, sì, questo l’hai già detto. Ma non è tutto, no?»
«No». Dannazione. Una sola goccia non bastava a farle rivelare tutto subito – per fortuna – ma ad ogni secondo che passava si rendeva sempre più conto che sfuggire sarebbe stato impossibile.
«Dimmi di più»
«È anche colpa degli effetti collaterali della Bevanda della Pace»
«E perché mai hai fatto uso di questa pozione?»
«Sono molto stressata in questo periodo e ne ho assunta un po’ troppa. È come se fossi in crisi di astinenza adesso, perciò anziché rilassata mi sento molto tesa»
«Come mai tutta questa agitazione? I G.U.F.O. li hai passati l’anno scorso». Sembrava quasi materna, la Grael, con quel tono.
«Sento come se stessi perdendo il controllo su tutto quanto… troppi corsi, gli allenamenti di Quidditch, le riunioni del Furmageddon a Londra nel weekend… ». Tre esempi potevano bastare. O almeno, in qualche modo si era autoconvinta che fosse così, escludendo il L.A.T.T.E. dall’elenco. E poi, effettivamente, i meeting con i vendicatori di Hogwarts non la disturbavano granché.
«Perché non abbandonare qualche materia e goderti un po’ i tuoi ultimi anni?»
«Perché non so cosa fare… »
«Cioè?»
«Dopo Hogwarts. Non ho idea di cosa fare. Ma non voglio limiti, voglio poter fare tutto, se dovessi desiderarlo. E non posso farlo se non ottengo il diploma in tutte le discipline»
«Se studiare per te è così importante, perché allora non lasciare la squadra di Quidditch? Perché accettare la spilla da Caposcuola? È una grande responsabilità»
«Gli altri Tassorosso. Loro si fidano di me. Mi stimano. Mi ritengono infallibile, un esempio da seguire. Che guida potrei essere se non riuscissi ad autogestirmi?»
«Sembra proprio che tu voglia disperatamente rovinarti l’adolescenza»
Sam non sapeva cosa rispondere. Era la verità? Era davvero così masochista?
«Pensi veramente che smetterebbero di ammirarti?»
«Forse»
Medea strinse le labbra, continuando a passeggiare nell’ufficio.
«A me sembra piuttosto che temi il tuo stesso giudizio»
La Cercatrice continuava a tacere. Non era una vera domanda. Eppure…
«Sì»
E riecco le cornee che pizzicavano. Basta.
“Ti prego, fa’ che cambi argomento”
Era una questione troppo vasta. Avrebbe dovuto mettere in mezzo sua sorella, la sua famiglia, i suoi fallimenti…
«Mi auguro che almeno, in tutto ciò, tu abbia qualche valvola di sfogo»
«Sì». Stavolta l’affermazione fu molto più leggera, come se si fosse liberata di un peso. Ripensò alle risate con i suoi amici, a Lara, ai pomeriggi con Crumb che le faceva le fusa in grembo e si sentì subito meglio, più serena.
«Grazie a Salazar» imprecò, in tono quasi scherzoso. «Sarei rimasta molto delusa se una ragazza carina e sveglia come te non fosse stata in grado di trovarsi un hobby. Anzi, sarei ancora più sorpresa se non avessi un ragazzo!» e rise, trovando apparentemente la cosa molto buffa. Poi proseguì, la voce subdola. «Ormai ti vedo nella mia aula da sei anni, e se ti sei ingraziata Audrey sei praticamente di famiglia, con me ti puoi confidare»
Oh, no.
«Su, chi è lui?»
«Non ho un ragazzo»
Era vero. Lui non era il suo ragazzo.
«Ma c’è qualcuno che ti piace, no?»
«Sì»
Umiliante. Era semplicemente umiliante.
«E tu piaci a lui?»
«Penso di sì»
«Scommetto che non è della tua Casa, però, ho ragione?»
«Sì»
Basta, basta!
“Ti prego, fa’ che l’effetto finisca in fretta!"
«Serpeverde?»
«Più o meno»
La Grael sembrò provare un senso di orgoglio per quella piccola conquista dei verdeargento. «In che senso?»
«Beh, era un Serpeverde, ora non studia più a Hogwarts»
«Ooh, un diplomato? E cosa fa adesso?»
Sam quasi si morse la lingua per non raccontarle della latitanza di Nathan.
«Si allena, studia magia». Era vero, ma vago abbastanza, no? Avrebbe potuto ipotizzare che frequentasse la LUM.
«Tu pensa! Beh, spero per voi che funzioni»
«Grazie» esalò la Tassorosso, stremata. Che altro voleva, da lei?AMORTENTIA
POZ PM2SAMANTHA JENSEN O'CONNOR - TassorossoSam si sentiva in costante sospensione, come se fosse continuamente sul punto di parlare ma si scordasse all’ultimo ciò che voleva dire. Il suo cervello si ostinava a spedire alla sua bocca l’input di vuotare il sacco, di sciorinare una qualunque verità le venisse in mente, ma ad un certo punto Medea si limitò a consolarla ed incoraggiarla, tanto che la Caposcuola la scrutò sconcertata: da quando in qua la Grael era così empatica? O forse si stava solo scusando in anticipo per ciò a cui l’avrebbe sottoposta di lì a poco?
«Sì, e vorrei che bastasse» commentò con un filo di voce.
Più che rimuginare sulle intenzioni della strega, però, la Tassorosso rifletté con frustrazione sulle rassicurazioni appena ricevute: se erano timori così normali, perché non aveva mai visto nessuno nelle sue stesse condizioni? Non conosceva nessun altro che seguisse tanti corsi quanto lei, nessuno che si fosse preso altrettanti impegni e responsabilità, nessuno che non potesse vedere il proprio… le persone a lui o lei care senza il rischio che venissero fatte fuori, nessuno che sognava i demoni di un libro proibito.
Espirò, frustrata. Ora stava facendo la vittima melodrammatica, una delle cose che più trovava irritanti, perciò si costrinse a far deviare i propri pensieri sul discorso dell’insegnante. Medea le confermò le sue teorie sulla Pozione Antilupo, ma le comunicò anche che la visita al RECDCM era saltata. La O’Connor sollevò un sopracciglio, curiosa (come avrebbe fatto altrimenti ad osservare gli effetti dell’infuso che le aveva appena descritto?), ma si limitò a trotterellare accanto alla professoressa finché non notò la targa sulla porta a vetri che avevano appena raggiunto: Ufficio degli Incidenti Magici, proprio come uno dei piani del San Mungo. Chissà, forse questa era una sorta di infermeria casereccia, o magari un punto d’osservazione per alcuni esperimenti non eccessivamente rischiosi che non necessitavano la supervisione dei Guaritori.
Era abbastanza impaziente da essersi lasciata alle spalle l’angoscia di poco prima, eppure la Grael sembrava volersi accanire su di lei, e stavolta in maniera persino peggiore che con il Veritaserum.
Amortentia.
«Sta scherzando!» le scappò, prima di mordersi le labbra, gli occhi sgranati. Tuttavia non era tutto, perché non solo avrebbe dovuto bere il filtro d’amore, ma persino uno che aveva subito un errato processo di preparazione!
Istintivamente Sam fece un passo indietro, valutando quanto in fretta sarebbe riuscita a raggiungere i camini dell’Atrio per tornarsene al castello. Era troppo, decisamente troppo. Le sue iridi scivolarono sui Ministeriali presenti, supplicandoli di fare qualcosa e salvarla da quella situazione, ma quelli non mossero un dito, continuando a registrare le reazioni delle loro cavie. I denti affondarono ancora di più nella carne delle labbra. A cosa diavolo poteva servirle testare su di sé gli effetti di un’Amortentia scorretta?! Tanto, se mai le fosse ricapitato, sarebbe stata fin troppo ossessionata dall’oggetto dell’infatuazione che non avrebbe potuto farci niente! Esattamente com’era accaduto per il siero della Verità, in effetti. Quello era puro sadismo. All’improvviso le montò dentro un tale astio che si sorprese di se stessa: come poteva un’insegnante torturare così i propri alunni? Com’era possibile che nessuno si fosse mai lamentato di quella parte del programma? Figurarsi, Medea metteva tutti fin troppo in soggezione, nessuno avrebbe mai osato andarle contro. Ma lei sì: aveva trovato la sua nuova, perfetta vittima per i progetti del L.A.T.T.E.
Consolata dalla promessa di vendetta, la O’Connor recuperò la propria determinazione e, con sguardo deciso, si avvicinò al tavolo con le boccette. Ciascuna aveva una differente sfumatura ed era etichettata secondo una sequenza numerica, ma sapeva che erano odore e fumi a identificarla realmente come tale. Chiese dunque ad uno degli assessori presenti di poterne annusare una e lui, con rigore professionale, stappò quella che aveva di fronte, accostandogliela alle narici. Subito Sam venne investita da una serie di odori familiari, sentori che amava ed altri che la fecero quasi commuovere. Eppure c’era qualcosa di sbagliato, una nota troppo intensa, un’altra troppo dolce o troppo acre, che rendevano l’aria salmastra della brezza marina troppo pungente, il tepore del cottage di famiglia soffocante, il profumo intenso e stemperato dall’umidità londinese della nuca di Nathan, quando l’aveva riabbracciato, sporco della fuliggine dei gas di scarico. Perché mai qualcuno avrebbe dovuto bere qualcosa che emanava effluvi tanto sbagliati? Forse, in genere, veniva assunta nel cibo, senza quindi rischiare che le percezioni olfattive tenessero alla larga la vittima. D’un tratto si sentì molto meglio al pensiero che fosse una pozione Illegale, o avrebbe cominciato a dubitare di ogni singola pietanza che avesse messo in bocca.
Senza tergiversare troppo, Sam ne bevve un sorso rassegnata: se non altro, qualunque stupido comportamento avrebbe assunto di lì a poco sarebbe stato da attribuirsi all’Amortentia, niente di troppo diverso dalle sciocchezze commesse quando aveva assunto la Pozione Contraria. Aveva baciato Audrey Hastings quella volta, cosa poteva esserci di più assurdo?
Non che la miscela le diede il tempo di trasmettere l’impulso neurale seguente alla cellula successiva, e d’altronde che importanza aveva? Come poteva avere un qualche significato degno di nota un qualunque suo pensiero di fronte alla perfezione dell’Ampolla che reggeva tra le mani? Perfettamente liscia, armoniosamente trasparente, la sua superficie di cristallo rifletteva con eleganza le luci della stanza, restituendola al suo sguardo con bagliori rosati e aranciati e facendo risplendere il liquido in essa contenuto quasi fosse velluto dorato. Era l’oggetto più prezioso che avesse mai visto, l’unico la cui esistenza meritasse protezione e devozione. La sua protezione e devozione, perché nessun altro avrebbe mai potuto amarLa come La amava lei. Chiunque altro sarebbe stato maldestro, noncurante, sprezzante, avrebbe graffiato i suoi bordi con le unghie, infilzato il tappo, lasciato ditate sul cristallo purissimo che mai avrebbe dovuto essere insozzato. Fu con un certo orrore che si rese conto che lei stessa, tenendoLa in mano in quella maniera profana, Le stava mancando di rispetto: le sue pupille dilatate si spostarono dunque sulla sala e, con uno scatto felino, intercettò il moto insensato di una delle cavie strappandogli il fazzoletto dal taschino. Era uno di quegli arnesi di bellezza che non veniva mai utilizzato, ed infatti emanava il lezzo chimico del sapone. Niente a che vedere con la perfezione distaccata della Boccetta, quasi appartenesse ad un altro piano della realtà. Il mago neppure si lamentò della debita appropriazione, continuando a dedicarsi a qualunque cosa stesse facendo, ed in quella il Ministeriale che le aveva concesso di scoprire un oggetto tanto divino allungò le mani per sottrarglieLo. Sam, però, fu rapidissima, e nel momento in cui notò le dita dell’uomo entrare nel suo campo visivo, gli tirò un poderoso pugno sul naso con la mancina, lo sguardo imbufalito, saltando all’indietro per evitare che potesse riprovarci. Un nemico! Un infedele!
«Non si azzardi mai più a fare qualcosa del genere! MAI!»
Le iridi, quasi invisibili data l’eccitazione, sondavano ora l’intera sala con diffidenza, incurante dell’epistassi che aveva appena provocato. Traditori! Usurpatori, ladri! Come osavano avvicinarsi tanto alla Fiala? A che cosa gli sarebbe servita? Volevano berLa? RivenderLa? FonderLa? Arricchirsi? MetterLa in mostra? No, nessun essere, umano o meno, avrebbe mai compreso la Sua grandezza, la natura trascendentale della Boccetta. Doveva rimanere segreta, doveva rimanere nascosta. Senza attendere un altro attimo, Sam se la fece scivolare con un singulto di piacere nella tasca del lungo mantello della divisa e piegò le ginocchia, il corpo lievemente reclinato in avanti, pronta a combattere. La brama era nella natura degli uomini, sapeva per certo che avrebbero cercato di sottrarglieLa e si sarebbe opposta fino all’ultimo respiro. Lei, e solo lei, poteva ricoprire l’onorevole carica di Somma Sacerdotessa della Fiala.
«Non La avrete mai!» ribadì ululando.
Uno degli impiegati blaterò qualcosa mentre i colleghi si appuntavano quanto detto, limitandosi a sostare ai loro tavoli, ma quando una strega, nei suoi moti insensati, le andò a sbattere contro, la Tassorosso ringhiò e la spintonò via con forza.
«Eretica! Non ti avvicinare alla Fiala!»
Nemici. Erano tutti nemici. Non poteva fidarsi di nessuno. Doveva scappare. Doveva metterLa in salvo. All’istante cominciò a cercare una via d’uscita, e quando scorse la porta a vetri vicino alla quale sostava Medea, prese subito a correre in quella direzione. Dovevano solo provarci, a fermarla!
«Spostati!» ordinò all’insegnante, incurante dell’assoluta mancanza di rispetto con cui le si era rivolta, mentre la scostava di lato e serrava le dita sulla maniglia.
Ma fu troppo lenta. Uno dei maghi le fu subito addosso, tenendole le braccia attorno al corpo per impedirle di muoversi mentre lei si dimenava come un’ossessa.
«Lasciatemi! LASCIATEMI, HO DETTO! LIBERAMI, STUPIDO OMUNCOLO!»
Era furiosa, cercava in ogni modo di scalciare per fuggire, ma quel tizio era più forte di lei. C’era una sola cosa da fare: tirò indietro il capo con forza e gli diede una testata dritta sul setto nasale. L’uomo gemette, e lei fu libera. Stavolta non l’avrebbero fermata-…
Ma a metà del suo scatto verso la porta inciampò, le gambe bloccate al terreno, incapace di rialzarsi. La Fiala…
«La Fiala!»
Terrorizzata, cominciò a tastarsi il mantello per assicurarsi che non si fosse rotta. Era integra, al sicuro nel fazzoletto, e La strinse gelosamente a sé per impedire a chiunque di sottrarglieLa; nel frattempo, cominciò a rovistare alla ricerca della bacchetta. L’Incanto della Pastoia aveva un semplicissimo controincantesimo, e quello non era stato che uno sciocco contrattempo. In men che non si dica sarebbe stata fuori di lì…
«AAARGH! VATTENE VIA! ALLONTANATI!»
Il suo urlo era acuto e furibondo come quello di una Banshee: un altro Eretico aveva provato a levarle la Boccetta dalla mano, fallendo, ma adesso erano in tre ad avvicinarsi. Bacchetta o Fiala? Combattere o resistere? Sapeva che non avrebbe potuto sopraffarli, che altri sarebbero arrivati a dar loro man forte. Tutto ciò che poteva fare era difendere l’Ampolla con ogni altro mezzo possibile mentre si trovava inchiodata al pavimento. Schiaffi, pugni, graffi, morsi, gomitate… ogni colpo andava a segno con sua grande soddisfazione, ma più reagiva, più Ministeriali sopraggiungevano per bloccarla.
Alla fine, con un lavoro congiunto, riuscirono nel loro infido intento, e Sam sgranò gli occhi, terrorizzata e colma d’odio.
«NOOOOOOOOO! RIDATEMELA! METTETELA GIÙ, SCHIFOSI, NOOOO!»
La gola le raschiava per quanto stava strillando, mentre lacrime di impotente dolore le scorrevano sulle guance e potenti singhiozzi le scuotevano le membra. Era così sopraffatta dal tormento e dal desiderio che non cercò neppure di impugnare il proprio noce, limitandosi a strisciare sul pavimento con le braccia protese finché il blocco alle gambe glielo consentiva.
«RIDATEMELA, NON SIETE DEGNI, NOOOO!». -
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IL SOLDATINO DI STAGNO
BAB PG1SAMANTHA JENSEN O'CONNOR - TassorossoMalgrado fossero accomodati ciascuno al proprio banco, Sam aveva l’impressione che quella lezione si stesse svolgendo in cerchio come quelle della Santos Diaz, una tavola rotonda in cui ciascuno era chiamato a dire la propria ed esporsi di fronte ai compagni. In più di un’occasione la Caposcuola si stupì delle risposte che udì, prendendo distrattamente nota delle professioni menzionate per stilare un albo mentale: un paio di erbologi, magizoologi, altrettanti magiavvocati, altri ricercatori… si sorprese soprattutto del senso di giustizia di alcuni, specie data la loro età, ma suppose che parte del loro interesse per il tema dell’unione fra comunità magica e babbana fosse dovuto anche al periodo storico che stavano vivendo, in cui le tensioni non facevano che crescere. Ethelred in particolare la prese in contropiede per ben due volte, sia quando professò di voler diventare un penalista, sia quando Savannah lo ringraziò pubblicamente per averla aiutata a superare almeno in parte i suoi problemi con il volo, ed in quella la Tassorosso si sentì immediatamente stupida e superficiale. Per quanto si impegnasse, infatti, c’erano dei luoghi comuni fin troppo radicati in lei, anche a causa dei suoi personali trascorsi, che l’avevano resa sempre sospettosa nei confronti dei Serpeverde, e ascoltare le idee di Maljoy fu come inspirare una boccata d’aria fresca. Si augurò che fossero così positivi anche i suoi concasati, cosicché forse, prima o poi, avrebbero investito il nome di Salazar di accezioni più positive rispetto a quelle calcificate nel corso dell’ultimo millennio. Notò anche che il discorso di Diaspro a proposito delle scienze aveva toccato punti molto simili a quelli di Smith, eppure i due non potevano avere personalità più differenti, e rimase stizzita nel constatare quanti non amassero la geografia. Davvero conoscere il mondo ed ampliare le proprie prospettive era un’idea così noiosa per loro? La materia più singolare citata fu però filosofia, ed ascoltando Lizzie la Cercatrice si scoprì inaspettatamente d’accordo con lei: sarebbe stata molto infastidita dal dover studiare il pensiero degli altri senza poter dire la propria fino in fondo. E poi, cos’aveva permesso a certe persone di venire annoverate fra i saggi rispetto ad altri? Era a causa dei loro scritti? O solo perché avevano fatto affermazioni insolite per i loro tempi? La studentessa che più di tutte suscitò le sue simpatie, invece, fu Rie, che oltre a confessare il suo amore per l’erbologia le parve molto matura e di ampie vedute. Senza dubbio in futuro sarebbe diventata una strega brillante.
“Chissà cos’avrebbe detto Nathan…” si ritrovò a fanasticare, incrociando le braccia sul banco e reclinando leggermente il capo all’indietro, lo sguardo perso nel nulla ed un fitta nel petto. Non avevano avuto abbastanza tempo per parlare di certe cose, e a undici anni scambiarsi opinioni su una futura carriera era l’ultima delle sue preoccupazioni, ma adesso quasi rimpiangeva di non averlo fatto. Se le cose fossero state diverse, se Nathan non fosse stato costretto a nascondersi, come sarebbe stata la sua vita? Che strada avrebbe intrapreso? Più ci rimuginava, più percepiva nascere dentro di sé il bisogno di renderlo partecipe della propria vita, un lieve sorriso sulle labbra. Forse era un po’ troppo prepotente da parte sua volerlo includere nei suoi piani, specie dopo aver trascorso l’intera adolescenza fra quattro mura e senza poter lanciare uno straccio di incantesimo in tutta sicurezza, e di sicuro non si arrogava il diritto di imporgli alcunché, né si illudeva di conoscerlo fino in fondo, ma era convinta che il suo più grande desiderio, ora come ora, fosse la libertà. Pochi mesi. Solo pochi mesi ancora e sarebbe diventato maggiorenne. Avrebbero potuto vedersi, quell’estate. E poi, in futuro, se lui fosse stato d’accordo e lei fosse riuscita davvero a inseguire l’imprecisa via che sperava, avrebbero potuto viaggiare insieme. Avrebbero potuto ammirare i panorami più assurdi e le magie più arcane, isolarsi da tutto e da tutti e parlare fino a notte fonda di qualunque cosa. Sì, bramava l’arrivo di quel quattordici aprile più di quanto non avesse atteso il ventidue settembre.
Era così assorta che solo il silenzio seguito dalla voce della docente la riscosse dalle proprie fantasie, e con imbarazzo si guardò intorno per cercare di capire se qualcuno stesse aspettando un suo intervento o se l’insegnante fosse passata semplicemente all’argomento successivo.
Non parve essersi persa granché: la Sullivan corresse una delle opinioni di Lea, anticipando che avrebbero affrontato la questione economica in un altro momento, dopodiché passò con calma e chiarezza alla questione morale e ai libri d’infanzia, evidenziandone i punti di contatto con le classiche fiabe di Beda il Bardo ed invitandoli a scegliere un racconto da animare con un incantesimo olografico.
Così, dopo aver corrugato le sopracciglia, perplessa per la disposizione degli argomenti sul libro di testo e le poche pagine dedicate a ciascuno di essi – che fosse una semplice introduzione? - si focalizzò sul memorizzare il meccanismo della fattura, ponderando se il risultato finale sarebbe stato simile a quello delle foto animate e cosa spingesse la magia a comprendere quale fosse il modo più coerente di dar vita e parola ad un’immagine così realistica. Magari quella sorta di esistenza bidimensionale era uno dei motivi per cui i maghi non fossero così angosciati dall’idea della morte, anche considerato quanto a lungo vivevano. Quella sì che era una questione filosofica non da poco.
Ridacchiando fra sé e sé, si esercitò un paio di volte nel movimento del polso prima di essere soddisfatta ed estrarre il tomo con le fiabe di Andersen dalla borsa. Alcune, così come quelle dei Grimm, le conosceva già grazie ai suoi zii, ma la maggior parte le era sconosciuta, ed aveva trascorso un pomeriggio intero a leggerle, curiosa, ammirata e, a tratti, persino commossa. Aveva trovato le storie del danese più corpose e profonde di quelle dei fratelli tedeschi, e quella che l’aveva più coinvolta emotivamente era stata Il soldatino di stagno. In genere non amava granché i racconti dai temi romantici, trovando molto più interessanti gli inni alla determinazione e al coraggio individuale, ma c’era una rara dolcezza ed una malinconia indescrivibile nelle peripezie del soldatino e nelle forze del male e del bene che si erano prodigate per separarlo o riunirlo alla ballerina di cui era innamorato. Spesso aveva udito sospirare, da chi amava la lettura ben più di lei, quanto sarebbe stato bello se i propri personaggi preferiti avessero potuto prendere vita per poterci parlare, e si sentì sfacciatamente fortunata a poterlo fare.
Alla fine, preso un lungo respiro per tentare di placare la propria mente ed il battito irregolare nel torace, sfogliò le pagine fino a raggiungere il punto in cui il soldato, dopo essere stato estratto dal pesce, tornava ad occupare il proprio posto sulla mensola vicino alla sua amata, e con precisione descrisse una spirale da destra verso sinistra, sfiorando in un ultimo tocco il disegno ad acquerello di fronte a lei.
«Soldatino di stagno apparere» scandì con tenerezza, e in uno sbuffo rosso e grigio il soldatino senza una gamba, ritto e fiero nella sua uniforme, con il fucile sulla spalla e l’espressione seria e compunta, si materializzò di fronte a lei.
Sam gli sorrise subito, le cornee un po’ lucide, e lo guardò saltellare incerto sul proprio piedistallo, guardandosi attorno con aria smarrita ma stoica.
«Ossequi, signorina» salutò senza scomporsi.
«Ossequi a Lei» replicò la O’Connor, tormentandosi le mani. «Non aver paura, non ti farò del male»
«Non è per me che sono preoccupato… » mormorò lui, l’angoscia nei piccoli, coriacei occhi di stagno fissi sull’illustrazione della fanciulla. «Non la vedo, lei dov’è?»
«È al sicuro, nel suo castello di carta»
Un immediato sollievo animò il militare, seguito da un’improvvisa tristezza. «Ma allora perché non sono più nella mia scatola, con i miei compagni? Ricordo il vento, la barca e il pesce, e ricordo di averla rivista dopo essere tornato a casa, ma non ho idea di come sia finito qui»
Sam si sentì in colpa come mai in vita sua, e in dovere di alleviare le sofferenze del soldatino meglio che poteva in quei pochi minuti concessi dall'incantesimo. La professoressa aveva detto che se fossero riusciti ad intrattenerli avrebbero potuto convincerli a rimanere un po’ di più, ma lei non aveva alcuna intenzione di provocare altre sofferenze al protagonista della fiaba.
«Ti ho… chiamato io. Ti prometto che fra poco sarai di nuovo sulla tabacchiera, di fronte a lei, e potrai guardarla ballare»
Le labbra dell’uomo di stagno di incurvarono all’insù così genuinamente che alla Tassorosso dolse il cuore, e lo guardò straziata mentre si sistemava la carabina e si reggeva incessantemente sull’unica gamba che gli era stata data, ligio al dovere.
«Ebbene, cosa posso fare per Voi?»
«Io… ». Cos’avrebbe voluto dirgli? Cosa poteva dirgli che potesse rendergli quei pochi giri di lancetta lontano dalla ballerina meno infernali? «In realtà volevo farti un regalo. Hai dovuto affrontare molti pericoli, e ti sarai sentito morire quando quei bambini ti hanno portato così lontano dalla tua casa, lontano da lei». Il soldatino taceva. «Non posso comprendere ciò che provi, ma dopo tutto ciò che hai passato ti meriti un po’ di felicità, prima-… »
“… prima che finiate entrambi tra le fiamme” stava per aggiungere, ma non aveva intenzione di infliggergli altre sofferenze.
Così, dopo aver recuperato il proprio noce e compiuto un altro avvitamento in senso antiorario, la Cercatrice toccò il disegno della ballerina e sussurrò «Ballerina apparere»
Stavolta lo sbuffo fu bianco e rosa pallido, e in un turbinio di carta e lustrini anche la fanciulla comparve sul libro aperto, elegante e graziosa mentre stava in perfetto equilibrio sulla punta di un piede, reggendosi l’altra gamba con le braccia.
«Cosa-…?» cominciò lei, strizzando le piccole ciglia per mettere a fuoco lo strano, enorme mondo circostante, prima di individuare la sagoma di stagno accanto a lei. Il soldatino fu talmente sopraffatto dalla comparsa della sua amata, a così pochi millimetri da lui, che ne fu sopraffatto: perse l’equilibrio, lasciando che la gamba cedesse come mai aveva fatto prima di allora, e si avvicinò venerante alla ballerina, il viso stravolto per la sorpresa e l’adorazione, usando il cane del fucile come appoggio per rimettersi in piedi. Le sue membra, però, tremavano troppo, e fu la ballerina stessa, abbandonata la propria caviglia, ad accovacciarsi di fronte all’omino. Non dissero niente, non c’era bisogno di dire niente. Rimasero in silenzio, lei stretta a lui, il visino di carta premuto contro la divisa di stagno, le braccia di lui attorno al delicato corpicino della fanciulla, e Sam non riuscì a dubitare neanche per un istante che quei due personaggi non avessero un cuore, un’anima. All’inizio si sforzò di non osservarli, di concedere loro un po’ di intimità, ma i due non davano segno d’esserne turbati, isolati nella propria bolla, in quel paradiso temporaneo e artificiale. Rimasero uniti per diverso tempo anche dopo lo scadere dei cinque minuti, e solo quando la Professoressa Sullivan riprese la parola si arrese alla realtà dei fatti: che il soldatino e la ballerina non appartenevano a quel mondo. Separarli sarebbe stato il gesto più crudele che avesse mai compiuto.
«Mi dispiace… » la sua voce tremò quando richiamò all’attenzione i due personaggi, così malferma che gli ologrammi non poterono fare a meno di guardarla.
«Cosa c’è, mia cara?» il tono della ballerina era dolce, triste mentre allungava una mano di carta impalpabile verso di lei per consolarla.
«Sono mortificata, ma non posso farvi rimanere ancora qui. Dovete tornare a casa vostra, adesso». Il dolore nei loro sguardi fu una pugnalata al petto. «Però posso promettervi una cosa: nessuno vi separerà più d’ora in poi. Starete insieme per sempre»
Dopo qualche altro istante di silenzio, la ballerina le sorrise, traboccante di gioia.
«Come ti chiami, cara?»
«Samantha» rispose Sam, incapace di soffermarsi sul fatto che, in genere, non usava mai il suo nome completo per presentarsi.
«Ti ringrazio di cuore, Samantha»
Tosca, non poteva piangere nel bel mezzo della lezione. Non poteva proprio.
«Non potrò mai ripagare questo debito» aggiunse il soldatino, ed il suo tono era così sicuro, fermo e orgoglioso che la Caposcuola si sentì vibrare le ginocchia. Scosse la testa.
«Non mi dovete niente. Andate in pace» li congedò, costringendosi ad Esiliarli prima di peggiorare la situazione.
“Finite Incantatem”
Pregò solo che nessuno si fosse accorto del pietoso stato in cui versava.. -
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CAPODANNO CINESE A PECHINO
BAB PG2SAMANTHA JENSEN O'CONNOR - TassorossoIl Ministero della Magia cinese era quanto di più diverso da quello britannico potesse immaginare. Un ampio salone dai colori caldi e le immense colonne di stampo imperiale aveva preso il posto dei lunghi corridoi piastrellati dal soffitto a botte, così legati all’architettura della metropolitana a cui era abituata, creando un effetto complessivo di luminosità e maestosità inaspettato. I finestroni, in particolare, le davano la netta sensazione di trovarsi a livello del suolo anziché sottoterra, e forse era davvero così.
L’atrio però non era vuoto e, mentre finiva di spolverarsi gli indumenti per rimuovere la fuliggine in eccesso, notò una piccola delegazione abbigliata con indumenti formali in attesa, poco distanti da loro. Prima di fare una figuraccia ripulì il pavimento lustro dalla cenere che si era spazzolata di dosso con un Gratta e Netta non verbale, dopodiché seguì la docente e i compagni verso i maghi cinesi.
Il portavoce si presentò come Wang Leehom, e a giudicare dal modo in cui aveva accennato all’identità dei collaboratori e alla professione della stessa Sullivan doveva essere il Ministro dell’UCMI.
Sam salutò con un piccolo inchino di rispetto, lievemente esitante: aveva visitato Mahōtokoro qualche anno prima con il Preside Duvall, ma durante il suo corso avevano solo menzionato le istituzioni magiche cinesi. Ogni dettaglio per lei era nuovo, e non vedeva l’ora di scoprire il più possibile del Capodanno cinese e della città: sette ore di certo sarebbero state sufficienti per un lungo tour della capitale. In quella, le sue iridi dardeggiarono sul profilo di Dante, rievocando ciò che aveva detto a proposito di sua madre: non conosceva la sua professione, ma che fosse una fotografa o una giornalista, stavolta sarebbe stato il figlio a portarle qualche scatto-
“Ah, no”
Dato che la Sullivan aveva tenuto nascosta la loro destinazione, non aveva minimamente pensato a portarsi dietro la macchina fotografica, e adesso un po’ le dispiaceva. Chissà se in giro sarebbe riuscita a comprarne una usa e getta in qualche negozietto…
Il Ministro Wang li congedò con la promessa di una sorpresa, dopodiché lasciò la parola alla docente: la donna fece loro le ultime raccomandazioni, esortandoli a riporre le bacchette, e porse loro delle buste rosse spiegando che contenevano una piccola somma con cui avrebbero potuto comprarsi da mangiare e fare acquisti di altro genere.
«Oh- grazie, Professoressa» fece la Caposcuola, gli occhi sgranati per lo stupore. Non si aspettava niente del genere, e si sentì un po’ in colpa al pensiero di spendere i soldi di qualcun altro: di chi erano? Dell’insegnante, del Ministero britannico o di quello cinese? Non che potesse indagare, sarebbe stato scortese; così, forzandosi a reprimere quella sensazione, sorrise al tirocinante che l’aveva raggiunta e chinò di nuovo il capo in segno di rispetto. Si trattava di un uomo più giovane del Ministro, forse aveva giusto qualche anno più di Seth, e gli occhi e i capelli scuri rilucevano per quanto erano puliti e perfettamente acconciati.
«Xiàwǔhǎo, wǒ jiào Zhào Tian» esordì, ricambiando l’inchino. «Buon pomeriggio, il mio nome è Zhào Tian, è un piacere conoscerti». La sua voce dal lieve accento cinese e il suo sorriso erano gentili, e agli angoli della bocca gli si erano create due fossette che la fecero avvampare inaspettatamente. Tosca, le pareva di essere tornata al Cairo con Medea! Pure con Nashat aveva avuto la medesima reazione! Evidentemente, rifletté con un muto sospiro, aveva davvero un debole per i ragazzi dai capelli scuri – anche se Tian aveva quasi il doppio dei suoi anni. Quel pensiero la aiutò a calmarsi, e ripensando a Nathan e all’ultima lettera che aveva ricevuto recuperò il proprio contegno, facendo passare l’imbarazzo per confusione e cercando di ripetere il saluto senza riuscirci.
«Puoi semplicemente dire “Nĭ hăo”, non c’è problema» la incoraggiò.
«Ni hao» ripeté lei, sbagliando di sicuro qualche tono. «Wo jiao Samantha». Sapeva che in Asia si soleva usare il cognome per conversare, ma non l’aveva mai fatto neppure in Giappone e le sarebbe parso piuttosto strano udirlo lì per la prima volta. «Il piacere è tutto mio»
Era contenta che Tian si fosse presentato nella sua madrelingua: se avesse continuato in quel modo anche in seguito la gita si sarebbe rivelata un’ottima occasione per imparare qualche nuova parola, oltre che per conoscere meglio la tradizione del Capodanno cinese.
Fatti che furono gli abbinamenti, Sam fece un cenno di arrivederci ai compagni e seguì Tian verso l’esterno, constatando che la sua supposizione era stata corretta: il Ministero si trovava all’interno di un edificio dall’aria qualunque, alloggiato in una via pullulante di persone che per la maggior parte indossava una mascherina.
“Giusto, la pandemia” rammentò, per poi bloccarsi prima di impugnare il catalizzatore. Niente magia.
«Tieni» fece prontamente lo stagista, porgendole una mascherina rossa dai decori dorati ed infilandosene una a sua volta.
«Grazie!» trillò, sorpresa e sinceramente grata. «Ehm… Xiè xie» si corresse subito. Quello era forse l’unico termine che conosceva in mandarino. Lui si limitò a risponderle con un sorriso, lasciandole il tempo di ammirare il panorama. La folla era abbastanza fitta da averle impedito di notare, di primo acchito, le centinaia di bancarelle disseminate lungo la via, ciascuna delle quali vendeva amuleti, cibo, leoni e bufali di cartapesta fissati su corti stecchi di legno e altri oggetti che riusciva a malapena a identificare.
Quando si fu più o meno abituata a quel marasma di stimoli, si rivolse alla sua guida e, trattenendo a malapena l’entusiasmo, gli chiese di portarla a fare un giro nei luoghi più belli della città, lasciando a lui la scelta dell’itinerario. Tian, dal canto suo, non pareva particolarmente sorpreso (in effetti era una richiesta piuttosto ovvia e doveva essersi preparato), e le fece subito segno di procedere verso destra.
«La prima tappa non può che essere piazza Tian'anmen, non è molto distante» le spiegò, indicandole qua e là i nodi tradizionali di stoffa rossa appesi alle case, le lanterne spente nei pressi delle porte di ingresso ed i ceri scarlatti consumati fino a diventare mozziconi, tutti elementi tipici che si esponevano durante le due settimane del Capodanno.
«Giusto, non si tratta di una sola notte» ricordò la studentessa, senza smettere di guardarsi intorno per assorbire il più possibile l’energia della città. «Ma quindi cosa si fa prima dell’effettivo giorno di Capodanno?»
«Si sta con i parenti più stretti, si pulisce la casa e si fa visita ai morti, soprattutto» riassunse Tian. «Ci sono dei giorni specifici in cui stare con la famiglia e andare al cimitero, e anche il cibo va consumato in determinati momenti. Il quinto giorno, ad esempio, si mangiano i jiaozi, legati alla divinità del denaro e della ricchezza»
«Sono i ravioli al vapore, giusto?»
«Esatto. Invece il primo giorno, durante la cena della vigilia con la famiglia, si cucinano soprattutto carne e pesce». Sam storse il naso, sospirando. Nel chiasso di metà pomeriggio era improbabile che Tian l’avesse sentita. «In realtà, molte delle pietanze che si consumano durante queste due settimane sono scelte in base a dei giochi di parole che hanno a che fare con gli auguri»
Sam, sbalordita, scoppiò a ridere.
«Davvero? Tipo?»
«Il pesce stesso della vigilia è un omofono di “sovrabbondanza”» spiegò lui, indicandole di svoltare a sinistra senza interrompersi. «C’è un proverbio che recita “Nián nián yǒu yú”, ossia “ci possa essere sovrabbondanza quest'anno” – “yú” è “pesce” – e difatti viene sempre cucinato in eccesso. Gli avanzi vengono poi finiti nei giorni successivi. O ancora il luóhàn zhāi, la “delizia di Buddha”: è un’insalata mista a base di alghe fat choy, il cui nome suona molto come “prosperità”. In cantonese, per augurare buon anno, si dice proprio “Gong hei faat choi”»
«E le tortine di riso?» domandò la Cercatrice, ammiccando ad una delle bancarelle che avevano appena superato.
«Intendi di nian gao? Augurano anch’esse che sia un anno più prosperoso del precedente»
In quella, Sam si accorse che la via si era ormai diradata a dismisura, e che meno di cento metri più avanti si apriva Piazza Tienanmen. Era così vasta che il suo sguardo non riusciva neppure a contenerla, e fu costretta a ruotare il capo da sinistra a destra per averne una panoramica completa. Oltre l’obelisco e il mare di teste, di musica, scoppi e vapori provenienti dalle padelle, svettava maestosa la Grande Sala del Popolo, con il muro solcato da bandiere purpuree in netto contrasto con il cielo grigio. Tuttavia, forse per ignoranza o forse per preconcetto, eccettuate le dimensioni, l’edificio la deluse un po’: si era aspettata qualcosa di più tradizionale, invece lo stile era più simile a quello dei parlamenti europei.
Tian le chiese se volesse fermarsi a dare un’occhiata con più calma, ma lei scosse la testa e lo invitò a proseguire; tanto, disse, la piazza era talmente grande che mentre l’attraversavano avrebbe potuto guardare tutto senza fretta. L’assessore la scortò dunque verso destra, a nord, fino a superare il Portale del Cielo e dirigersi verso quello meridionale. La capitale, comprese la Tassorosso, era orientata in senso opposto rispetto ai punti cardinali, ma scelse di indagare più avanti, preferendo ampliare il discorso sulle tradizioni di Capodanno visto che, a detta del tirocinante, la meta successiva distava circa mezz’oretta a piedi. Apprese dunque che la pulizia della casa era legata al concetto di allontanamento della sfortuna, cosicché la buona sorte potesse varcare l’uscio senza intoppi.
«Ah, un po’ come il falò del Capodanno celtico!» esclamò la Cercatrice. Tian era un po’ confuso.
«Durante il Capodanno celtico, verso la fine di ottobre, si accende un grande falò in cui viene bruciato, concretamente o metaforicamente, ciò che di brutto è capitato durante l’anno precedente. Molti scrivono tre cose da eliminare e tre che si desiderano su dei foglietti, che vengono poi lanciati nel fuoco. È davvero un bel momento» raccontò con un pizzico di nostalgia. Aveva partecipato a quella celebrazione solo un paio di volte, quando era più piccola, e ricordava l’intenso odore e calore delle fiamme e l’atmosfera festosa degli adulti attorno a lei. Era un peccato che a Hogwarts non si organizzasse nulla del genere, limitandosi a celebrare Halloween.
«Non è una festa nazionale però, vero?»
«No, no» confermò lei.
Ma le analogie con Halloween non si fermavano lì: c’erano infatti diverse leggende sull’origine del Capodanno cinese, e la più comune riguardava proprio lo scacciare un dio adirato dalla capitale.
«Vedendo tutte le lanterne accese in giro per la città, il dio credette che qualcuno le avesse già dato fuoco e si ritirò»
«Mossa furba!» commentò con un sorrisetto. «E le altre?»
«La seconda è un po’ più romantica: si trattava di un inganno ordito da un consigliere imperiale per consentire ad una serva di uscire dal palazzo e rivedere la famiglia per una notte, una volta all’anno»
«Wow». Se fosse stato vero, il consigliere doveva essersi dato parecchio da fare per diffondere la voce in tutti i quartieri della capitale.
«L’ultima non è una vera e propria leggenda, anzi, si presume che sia la vera origine della festa. Si tratterebbe di un rito dei monaci buddhisti, che accendevano delle lampade in contemplazione delle reliquie del Buddha il quindicesimo giorno del primo mese. Un imperatore avrebbe poi adottato questa usanza, ordinando di accendere delle lanterne nel palazzo imperiale e nei templi»
«Tu a quale credi?»
«Perché scegliere?»
Sam rise di nuovo, prima che il fiato le si spezzasse per la meraviglia.
«La città proibita!»
All’orizzonte si stagliava, da parte a parte, l’antico palazzo imperiale, in cima ad una scalinata così lunga che le veniva il fiatone solo a pensare di scalarla, quasi non avesse trascorso sei anni a fare su e giù per il castello di Hogwarts.
Tian ammiccò. «Purtroppo oggi è chiuso, ma è una bella vista anche dall’esterno»
La O’Connor non poté far altro che annuire, le pupille che passavano ora sul tetto, ora sui portoni altissimi, figurandosi le parate di fine anno di cui aveva sentito parlare tingere la piazza di rosso e oro. La Sullivan aveva menzionato un evento finale quella sera, presumibilmente la festa delle lanterne, e sarebbe stato splendido poterla osservare da lì. Con quella speranza nel petto, restia a privarsi di quella vista spettacolare, temporeggiò un po’ prima di fare segno a Tian di proseguire verso la tappa seguente. Era trascorsa già un’ora da quando erano arrivati, e di certo c’erano ancora molte altre cose da ammirare.
Il tirocinante la condusse al parco Beihai, dove numerose famiglie e gruppi di amici si erano radunati per celebrare e ovunque il rosso regnava sovrano, persino le barchette che solcavano il lago erano state tinte della medesima sfumatura. Si imbatterono anche in un manipolo di artisti che si stava esibendo in un’errante danza del leone, sostenendo, piegando ed arcuando il lungo costume semiaperto di un leone dal muso feroce, accompagnati dal ritmo battente di tamburi e cimbali.
«Come mai è un leone e non un drago?» chiese curiosa, mentre si fermavano nei pressi di una bancarella per fare uno spuntino. Tian fu abbastanza gentile da chiedere all’anziana donna che lo gestiva degli involtini vegetariani e un paio di yuánxiāo. In quel momento erano seduti su una panchina, respirando l’atmosfera allegra del polmone verde della città.
«Il leone ha la stessa funzione delle lanterne e delle pulizie, serve a scacciare ed esorcizzare gli spiriti maligni e favorire l’arrivo della fortuna» illustrò Tian, portandosi alla bocca un jiaozi. «Il drago invece è simbolo di celebrazione»
«Oh, capisco»
Si intrattennero nel parco per una mezz’oretta, finché i colori sfumati del tramonto non cominciarono ad incupirsi cedendo il posto alle tenebre del crepuscolo. Il buio tuttavia non sembrò colpire la città, rilucente delle miriadi di luci delle lanterne e dei palazzi che svettavano oltre le cime degli alberi.
Quando si fece ora di proseguire, Sam notò diversi bambini in compagnia dei genitori, che si affollavano nei pressi di alcune lanterne particolarmente grosse sulle quali spiccavano vari ideogrammi.
«Come mai si radunano tutti lì?»
«Ah, stanno cercando di risolvere gli enigmi scritti sulle lanterne» fece Tian, gettando il sacchetto ormai vuoto degli snack che avevano consumato in un cestino già straripante. «È un’attività che risale alla dinastia Song, fra il 960 e il 1279, diffusa fin dall’epoca sia fra i ricchi che fra i poveri. Se si trova la parola celata dall’enigma si conquista un regalo»
Più proseguivano, e più a Sam venivano in mente nuove informazioni da chiedere, stimolata da tutto ciò che la circondava. Scoprì così che fra le tradizioni di Capodanno si celebrava anche il Renri, il giorno della creazione, che per le settimane della festa lunare cadeva durante il settimo giorno - «Per i cristiani è il sesto, chissà perché c’è così poca differenza!» - e che durante la giornata ogni persona si considerava invecchiata di un anno.
«Anche in Corea del Sud è così» intervenne Sam ad un certo punto. «La migliore amica di mia sorella è coreana, e non ho mai capito del tutto quanti anni abbia. Però in Cina si mantiene comunque l’età internazionale, no?»
Tian confermò, spiegando che era più semplice così.
Col passare dei minuti sempre più gente prese a sciamare nelle vie, alimentando l’aria gioiosa della festa. In Regno Unito era molto diverso, si festeggiava per lo più con amici e parenti in piccoli gruppi, e la gente si affollava solo nelle piazze più grandi e nei parchi, mentre a Pechino pareva che ogni vicolo fosse la sede di una piccola celebrazione privata, sgargiante di luce e macchie di rosso.
Passando accanto all’ennesima bancarella, la Tassorosso udì un grido che aveva l’impressione di aver già sentito diverse volte nel corso del pomeriggio.
«Cosa significa “sueesuee pinyan”?»
Tian voltò lievemente il capo per nascondere la propria smorfia divertita. La sua pronuncia doveva essere stata davvero pessima.
«Suìsuì píng'ān» la corresse lui, in perfetta dizione «significa “pace anno dopo anno”, e si urla in caso si rompa un oggetto per allontanare la malasorte scaturita dall’incidente. Però hai buon orecchio» concesse con un sorrisetto bonario.
«Con tutto questo chiasso non è semplice capire bene le parole» si giustificò lei malgrado il complimento, per poi fermarsi e voltarsi con aria pensierosa verso il banchetto della vecchiarda. «Magari potremmo fare qualcosa per lei, potrei comprare uno dei suoi oggetti per aiutarla a scacciare la sfortuna»
«Non funziona esattamente così, ma fai pure» ridacchiò Tian, seguendola verso il baracchino per farle da interprete. Non che Sam ne avesse davvero bisogno – salvo che per la cifra chiesta dalla donna: le fu sufficiente indicare e sillabare «Nà, qǐng nǐ1» per farsi consegnare in una bustina di carta rossa uno degli amuleti intrecciati di corda scarlatta. Stava anche pensando di acquistare una lanterna, ma mancavano ancora quattro ore al raduno e non voleva impicci durante la passeggiata. Ne avrebbe rimediata una più in là.
Si allontanò dalla bancarella tra i ringraziamenti della vecchietta, infilandosi il sacchettino nella tasca interna della giacca, vicino alla bacchetta. Aveva fatto decisamente bene a coprirsi, perché malgrado il calore umano cominciava a fare davvero freddo.
Ed ecco finalmente stagliarsi di fronte a loro il Tempio Lama, aperto eccezionalmente per il Capodanno. Era un complesso immenso, così vasto che non sarebbero mai riusciti a girarlo tutto senza fare tardi. Tian si premurò ugualmente di farle vedere i punti più importanti, inclusa la più grande statua di Buddha ricavata dal legno di sandalo del mondo, e negli angoli meno affollati riusciva persino a udire i canti dei monaci.
«Deve trattarsi delle preghiere serali, probabilmente hanno cenato da poco» congetturò lui, conducendola più vicina all’edificio per ascoltare quella melodia profonda e riverberante. Non era difficile credere nell’esistenza di una divinità, nella presenza di forze esoteriche se si ascoltava una litania simile, una sequenza interminabile di sillabe pronunciate con la massima sicurezza e riverenza, senza mai smettere di estrarre il fiato dal proprio diaframma o incrinare la propria posizione.
Quando lasciarono il tempio, un’ora dopo, Sam si sentiva rinvigorita come se si fosse immersa in una sorgente calda, e seguì Tian verso la fermata dell’autobus più vicina. Dato il traffico, la Cercatrice cominciò a temere che non sarebbero mai tornati in tempo per le undici, ma il tirocinante era fiducioso e la invitò ad approfittare del folle viaggio in pullman per riposare le gambe. In effetti camminavano al fresco da ore, e fermarsi per una mezz’oretta le sembrò un prospetto eccellente.
Lungo il tragitto Sam provò a guardare fuori dal finestrino per ammirare la città di notte, ma le luci creavano troppi riflessi e in molti punti non riuscì a distinguere granché. Decise quindi di chiacchierare ancora un po’ con Tian, rendendosi conto del torpore che aveva cominciato ad avvolgerle le membra. Era stranissimo: razionalmente sapeva di essersi alzata solo qualche ora prima, eppure il cielo adombrato le dava la sensazione che fosse già ora di andare a dormire. Ecco cos’era il jet lag. Fortuna che al castello, dopo la lunga gita, non avrebbe avuto altre lezioni, o avrebbe rischiato di appisolarsi sul banco.
«Senti Tian… » cominciò, raddrizzando la schiena. «Il Ministro Wang ha detto che stiamo entrando nell’anno del Bufalo, ma cosa significa?»
«Nel calendario cinese gli anni sono contati seguendo un ciclo di 60 anni, chiamato “ganzhi”, e a ciascuno viene assegnato un nome composto da due parti: una radice celeste e un ramo terrestre. Non entrerò troppo nel merito delle dieci radici celesti, visto che il loro significato antico è stato quasi del tutto perso, ma posso dirti che i rami terrestri sono dodici»
«Come gli animali dello zodiaco?»
«Esatto. Il Bufalo rappresenta l’onestà e la pazienza, ma anche l’ambizione, e per questo è legato allo yin, la parte più sensibile del dao». A quel punto elencò una serie di anni e le chiese se conoscesse qualcuno che fosse nato nel corso di uno di essi.
«No, nessun Bue di mia conoscenza» replicò con un sorriso di scuse. «Io invece di che segno sono? Sono nata nel 2003»
Tian rise. «Che coincidenza! Io nel 1991, siamo entrambi della Capra»
«Non ci credo, pazzesco!»
«Davvero!» concordò lui. «I nati sotto il segno della Capra – o della Pecora, se preferisci – tendono ad essere affettuosi, sensibili e timidi, più aperti solo con coloro che conoscono bene, e disprezzano il tradimento più di ogni altra cosa. Ma il loro vero dono è l’inventiva, e con una piccola spinta dall’esterno possono raggiungere risultati anche molto gratificanti»
Sam ascoltava in silenzio. «Ti ci riconosci?»
«Mah, non è che abbia mai creduto troppo in queste cose, ma ammetto che ci sono diversi punti in comune»
«Sì, è abbastanza accurato» confermò Sam. «Ed è anche il Bue sotto l’influsso dello Yin, immagino»
«Sì. Teoricamente, essendo questo l’anno di un animale a noi affine, dovrebbe esserci propizio, ma chissà»
Quando arrivarono al Palazzo d’Estate, la Tassorosso esalò il fiato in una nuvoletta di fumo. Lì era tutto più tranquillo, e non avrebbe potuto contare sulla folla che li aveva circondati e riscaldati fino a quel momento. L’edificio era imponente, a pianta poligonale, e svettava al di sopra degli alberi entro i suoi confini, l’acqua del canale che scorreva attorno alla fortezza nera come la pece. Nel buio della periferia, risultava visibile solo grazie alle luci che erano state posizionate attorno al perimetro, e per un po’ rimasero in silenzio a godersi la malgama di sfumature blu, rosse e dorate create dalle pareti del Palazzo e dai riflettori piazzati dai babbani.
«Ci voleva, rallentare un po’. Grazie»
«Sì, il centro può essere soffocante a volte. È bello respirare un po’ ogni tanto»
Sam annuì lentamente.
«Senti, Tian… »
«Sì?»
«Non ti dispiace di non essere con i tuoi amici o la tua famiglia oggi?»
Lui si strinse nelle spalle.
«Non particolarmente. Ho trascorso ventotto capodanni con loro, per una volta non succederà niente. E poi mi sto divertendo, non preoccuparti»
Sam gli sorrise dispiaciuta, chinando il capo. «Spero almeno che il Ministro Wang ti paghi bene per questo extra»
Tian rise, ma non aggiunse altro, lasciandole il beneficio del dubbio.
Ad una certa, il brontolio dello stomaco della Cercatrice ruppe la quiete del distretto di Haidian, inducendo le sue guance ad arrossire più del ciondolo che aveva comprato.
«Direi che è ora di mangiare anche per noi. Su, torniamo in città. Se facciamo in tempo, forse riusciamo a vedere un’ultima cosa prima delle undici»
«Che cosa?» indagò subito lei, curiosa.
«Lo scoprirai»
Sam gli trotterellò alle spalle senza insistere, e lo osservò sgomenta tirare fuori un cellulare dalla tasca della giacca.
«Hai un telefono?»
Lui annuì.
«E funziona?»
Tian assottigliò lo sguardo in un cenno di ammonimento.
«Ah. Scusa».
Seguì una breve e rapida conversazione in mandarino di cui la Tassorosso non riuscì a seguire una parola, ed in quella Tian la informò che aveva appena chiamato un taxi; tutti i pullman, infatti, avevano terminato le proprie corse.
«Qui vicino ci sono anche i resti del Vecchio Palazzo d’Estate» le disse mentre aspettavano. «Ma sono nascosti in un giardino, perciò non riusciremmo a vederli dall’esterno»
«Accidenti, che peccato!»
«Già. Ha un’architettura molto strana, che ricorda i vecchi templi greci o gli anfiteatri»
«Come sarebbe?». Sam aggrottò le sopracciglia.
«Aspetta, ti faccio vedere» fece lui, recuperando lo smartphone e mostrandole alcune foto da internet.
«Caspita, hai ragione!». E di nuovo l’impulso di documentarsi in proposito fece capolino nel suo petto. Non avrebbe mai immaginato di trovare delle rovine di pietra bianca, così simili ai resti occidentali, dall’altro lato del mondo.
Arrivato che fu il taxi, Tian diede all’autista l’indirizzo di destinazione e la vettura partì a tutta velocità verso sud-est. Sam avrebbe voluto avere una mappa per seguire gli spostamenti della macchina, invece dovette limitarsi ad un gioco di orientamento. Ciononostante, a differenza dell’autobus gremito di persone, i sedili erano silenziosi e confortevoli, e quasi senza accorgersene la Caposcuola scivolò in un sonnolento stato di dormiveglia, scaricando in quello stato di incoscienza la stanchezza accumulata nel corso della notte.
Arrivarono a Dongcheng tre quarti d’ora dopo, e Tian la svegliò con un pizzico di imbarazzo, restio a sospingerla mentre chiamava più volte il suo nome. Sam si ridestò lentamente, confusa e stordita, ma impiegò ben poco tempo a rendersi conto di dove fosse e cosa stesse facendo. Subito, arrossendo fino alla punta dei capelli, si scusò con la sua guida e con l’autista, estraendo dal cappotto la busta rossa e porgendo al tassista l’importo dovuto per la corsa.
«Scusami ancora, sono proprio crollata» biascicò, strizzando le palpebre per riadattare gli occhi alle forti luci della zona interna di Pechino.
«Non preoccuparti, è normale- ah, eccoci qua» annunciò Tian allegro, aprendole la porta di un ristorante tradizionale e varcandone l’uscio dopo di lei. Oltre alle solite decorazioni scarlatte, la Caposcuola notò anche parecchi ninnoli raffiguranti carpe, piccoli lingotti d’oro e d’argento, e alcune composizioni floreali con narcisi, crisantemi, bambù, girasoli e altri esemplari sconosciuti.
«Anche quelli hanno un significato preciso?» chiese al suo accompagnatore una volta che furono a tavola – Tian doveva aver prenotato in anticipo calibrando le tempistiche delle varie escursioni, perché ogni altra postazione era occupata da coppie, gruppi di amici e famiglie.
«Sì. Il pruno asiatico» ah, ecco cos’era! «simboleggia la fortuna, il narciso la prosperità, il crisantemo la longevità» giusto, questo lo sapeva «mentre gli altri sono semplicemente di buon auspicio. Tu cosa prendi?»
«Qualsiasi cosa, purché sia tipica di Capodanno e senza carne o pesce!»
«E da bere?»
Per rispondere, a differenza del primo quesito, Sam scorse il menù bilingue. «Un tè oolong»
Tian riportò tutto alla cameriera, una ragazza avvenente dal rossetto rubicondo e nastri dello stesso colore nei capelli, e di lì a un quarto d’ora stavano già gustandosi gli antipasti. Mangiarono a sazietà, interrompendosi di tanto in tanto per non dare di stomaco – in Scozia erano circa le due di pomeriggio, e non ricordava di aver mai pranzato così tardi – e quando la Cercatrice cominciò a temere che sarebbe esplosa, arrivò l'ennesimo piatto di dolci di riso. No, decisamente non poteva rifiutarsi di assaggiarli un’ultima volta.
Quando ebbero terminato e furono usciti dal ristorante, la sua busta rossa (oggetto tradizionale anch'esso, aveva appreso) era quasi completamente vuota, ma ne era valsa la pena.
«E ora? Riusciamo a vedere quell’ultimo posto a cui mi hai accennato?»
«Altroché!»
Tian ci sapeva davvero fare con gli itinerari, non aveva problemi ad ammetterlo. Aveva incastrato ogni tappa alla perfezione, e anche adesso che stavano procedendo verso chissà dove non poté fare a meno di pensare che persino la posizione del ristorante fosse stata scelta appositamente per consentire loro di digerire, camminando dal locale all’ultima meta.
La quantità di gente era ormai tale da rendere quasi impossibile passeggiare, perciò Tian le suggerì di avanare in fila indiana, procedendo tenendosi quanto più vicini possibile ai bordi della strada. Ad un certo punto la folla si diradò leggermente, al che la Tassorosso poté sollevare le iridi su un colossale edificio circolare, strutturato su tre livelli separati da tetti blu spioventi. Lungo la scalinata bianca che conduceva all’ingresso erano state fissate lanterne e scendevano leoni danzanti, suscitando l’estasi degli spettatori, mentre in uno dei lati della piazza un gruppo di esperti pirotecnici si assicurava che tutto fosse in ordine per lo spettacolo di fuochi d’artificio organizzato per quella notte. C’erano troppe cose stupende tutte insieme, a pochissimi passi l’una dall’altra, e si sentiva impazzire nel tentativo di scegliere su cosa soffermarsi. In quella, intercettò il vociare chiassoso di un venditore di lanterne, che approfittava dell’ultima ora per svendere le poche che gli erano rimaste, e Sam subito ne approfittò, cogliendo Tian di sorpresa acquistandone due, una per sé ed una per la sua guida.
«Ma- non dovevi»
Sì, Tian era proprio una timida Pecora.
«È solo un piccolo modo per ringraziarti ancora per oggi, è stato bellissimo!»
«È il mio lavoro-» si schermì lui; ma sorrideva, e Sam ricambiò mentre Tian le accendeva con un fiammifero che il venditore aveva dato loro insieme alla merce. La Cercatrice aveva notato che molte lanterne erano elettriche o di plastica, ma per sé voleva un cimelio meno commerciale.
«Ehm… sarebbe un problema se ti chiedessi di farci una foto? Non ho pensato di portarmi dietro la macchina fotografica, ma visto che hai un telefono… »
Tian fu sul punto di protestare per qualche secondo, ma alla fine si arrese ed acconsentì con un sospiro, guidandola nella calca fino a raggiungere uno spiraglio da cui avrebbe potuto includere il tempio, le gradinate con i leoni e parte della folla che li circondava. Poi estrasse il cellulare, aprì la fotocamera e lo tenne sospeso in alto con il braccio, invitandola a raggiungerlo prima che il flusso di gente cambiasse direzione.
«Sān… èr… yī…2 »
L’autoscatto partì, immortalando due volti accesi dal buonumore con le gote imporporate per il freddo, le mascherine temporaneamente abbassate sotto il mento e le lanterne accese sollevate nell'inquadratura.
«Xiè xie» continuava a pigolare Sam, tagliando corto quando Tian la supplicò di smetterla e fornendogli la mail di Fany per farsela recapitare.
«E adesso» proferì il tirocinante «sbrighiamoci, o faremo tardi all’appuntamento»
1 Quello, per favore.
2 Tre... due... uno.... -
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